L’uomo che non poteva ricordare

E’ morto nel Connecticut, a 82 anni, Henry Gustav Molaison, considerato il più importante paziente della storia della neurologia. Henry, come ricorda il New York Times riportando la notizia, sapeva come si chiamava, sapeva che la sua famiglia veniva dalla zona di Los Angeles, era al corrente del crack del 1929 e della Seconda Guerra Mondiale. Ma dal 1953, per ben 55 anni, ha vissuto ogni giorno come fosse «nuovo», perchè da allora non è stato più in grado di costruire memorie recenti e di accumulare esperienze.

L’episodio che ha cambiato per sempre la sua vita fu un intervento chirurgico al cervello cui si sottopose per cercare di curare attacchi epilettici che erano diventati insostenibili per frequenze e gravità.  Attacchi cominciati dopo una caduta in bicicletta con conseguente trauma cranico. I medici, dopo aver tentato tutte le terapie decisero di asportargli una piccola porzione di tessuto nervoso ritenuta l’origine delle «scariche». Il problema è che in quegli anni gli specialisti non disponevano di Tac, risonanze magnetiche o altri strumento per «guardare» dentro il cervello e tantomeno sapevano della «distribuzione» delle varie funzioni nelle diverse aree cerebrali. La memoria, per esempio, era ritenuta una funzione diffusamente distribuita a tutto il cervello. Dopo l’intervento cominciarono consulti con specialisti fatti arrivare anche da oltre confine per studiare il caso. Dall’età di 27 anni Henry ha sostanzialmente vissuto ogni giorno come un caso clinico, e ogni giorno gli specialisti, sottoponendolo a innumerevoli test, hanno dovuto «ricominciare daccapo» insieme a lui.

La svolta negli studi sulla memoria stimolati dal caso «H.M» avvenne nel 1962, quando fu pubblicato uno studio che dimostrava che il paziente aveva una parte di memoria intatta. La scoperta aprì alla comprensione dell’esistenza di due tipi di memoria fondamentali: uno riferito a nomi, facce, avvenimenti e nuove esperienze che devono essere archiviate e essere recuperate a livello cosciente, e un altro tipo che vince viene archiviato e utilizzato in modo inconscio. Questo secondo tipo è quello che permette, per esempio, di guidare o di risalire su una bicicletta dopo molto tempo e di mettersi a pedalare immediatamente senza sapere bene come mai si è ancora capaci.

Fu solo l’inizio. Da allora il caso «H-M» è stato da stimolo diretto o indiretto a molte scoperte che hanno permesso di conoscere i meccanismi della memoria.

via | Corriere.it

La sicurezza del nucleare

E’ noto che il nuovo Governo e parte della opposizione (ombra) sono favorevoli, contro il volere della popolazione (sancito da apposito referendum) ad un ritorno al nucleare.

Ci stanno propinando in tutte le salse la favoletta che non ci sono alternative, che gli impianti sono sicuri.

Ebbene, due settimane dopo le polemiche scoppiate in seguito a una fuga di liquido contenente uranio, la centrale nucleare di Tricastin, circa 200 chilometri dall’Italia, crea nuovamente allarme e polemiche: ben cento dipendenti sono stati «leggermente contaminati» dalla fuoriuscita di radio-elementi da una tubatura durante un´operazione di manutenzione. Novantasette dipendenti dell’Electricité de France e di imprese appaltatrici che lavoravano nell’edificio sono stati trasferiti in infermeria per essere sottoposti a esami medici per verificare il rischio di contaminazioni. Anche altri 32 impiegati del sito, che avevano attraversato l’edificio poco prima o poco dopo la fuga delle sostanze, sono stati controllati.

L’incidente è il secondo che si è verificato a Tricastin nelle ultime due settimane. Nella notte tra il 7 e l’8 luglio, durante alcune operazioni di pulitura, trenta metri cubi di una soluzione contenente 12 grammi d’uranio per litro si sono riversati in due fiumi dallo stabilimento Socrati-Areva Nc. Dopo un’inchiesta interna, il colosso energetico Areva ha dovuto ammettere una «mancanza di coordinazione evidente tra le squadre incaricate dei lavori e quelle responsabili delle verifiche».
Pochi giorni dopo, il 17 luglio, un secondo incidente in un’altra centrale, ma a Roman sur Isere (Drome), sempre di proprietà di Areva: a causa della rottura di una canalizzazione nell’impianto di combustibili si è verificata una fuga di liquido radioattivo, che pare, naturalmente secondo i tecnici del colosso francese, non abbia avuto «alcun impatto sull’ambiente». Venerdì scorso, poi, ben quindici operai dell’impianto nucleare di Saint Alban, dell’Edf, nella regione dell’Isere (sud della Francia), sono stati contaminati dalla fuoriuscita di liquido radioattivo.

E mentre Scajola minimizza («Incidenti francesi enfatizzati»), per Ermete Realacci (Pd) «uno dei problemi che il nucleare porta con se è la mancanza di trasparenza. È sconcertante che solo oggi venga resa nota la notizia che 100 operai siano rimasti contaminati dopo l’incidente della centrale di Tricastin. Non è neanche chiaro se ci sia stato o meno un nuovo incidente. Chiediamo al Ministro dell’Ambiente e al Governo italiano di chiedere urgentemente all’Aiea di riferire senza omissioni quanto accaduto in Francia». Per Bonelli (Verdi) «Il nucleare radioattivo è insicuro e costoso e non è una soluzione nè alla questione climatica che a quella energetica. Il Governo Berlusconi abbandoni la follia del ritorno a nucleare; se così non fosse si compierebbe una vera e propria truffa nei confronti dei cittadini sulle cui spalle ricadrebbero gli enormi costi economici, sociali ed ambientali. Siamo pronti a mobilitarci per contrastare questo imbroglio ai danni degli italiani». Per l’ex ministro dell’Ambiente, Pecoraro Scanio: «Si tratta di un vero e proprio allarme nucleare: quattro incidenti a centrali atomiche nel Paese più attrezzato dal punto di vista tecnico dimostrano quanto sia rischioso il ritorno all’atomo. Se il governo non rinuncerà a questa vera e propria follia di tornare al nucleare lavoreremo per promuovere un nuovo referendum».

LE ALTERNATIVE CI SONO. Attualmente, l’energia solare raddoppia nel giro di un anno e quella eolica aumenta del 42%, ma nel ricorso alle energie rinnovabili l’Italia rimane indietro. A causa anche dell’incremento dei consumi il traguardo del 20 per cento di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili entro il 2020 fissato dall’Unione Europea anziché avvicinarsi si allontana.

In testa alla speciale classifica, con il 61,9% dell’energia prodotta da rinnovabili, c’è l’Austria, che ha saputo combinare alla tradizionale idroelettrica alpina politiche di incentivo al solare e all’eolico.

Stessa scelta fatta dalla Svezia, ora a quota 51,3% (con le biomasse al posto del fotovoltaico), mentre la Germania, storicamente quasi priva di idroelettrico, scommettendo sul futuro sta puntando su sole e vento, raggiungendoci a quota 15,7%.

E noi saremmo il paese del sole …

Con le donne, essere ‘bastardi’ paga

Non è una mia teoria, anche se confesso di aver sempre avuto questo dubbio in proposito.

Il Corriere della Sera riporta il risultato di una ricerca scientifica condotta da ricercatori internazionali guidati dallo scienziato Peter Jonason, della «Mexico State University» di Las Crucis e ripreso dal settimanale New Scientist: la cattiveria paga, almeno con le donne; sarebbero proprio gli uomini «cattivi» ad attrarre il maggior numero di donne. Il motivo? Una triade di caratteristiche psicologiche negative come il narcisismo ossessivo, l’alta impulsività e l’abilità nell’essere manipolatori e machiavellici renderebbe gli uomini stile James Bond fortemente affascinanti tanto che anche le donne più belle non riuscirebbero a resistere. 
«Lo studio conferma – ha spiegato il professore Jonason al New Scientist- che persone con queste tre caratteristiche possono rappresentare una strategia evolutiva di successo». Lo studio ha preso in esame i test condotti su duecento studenti universitari nei quali erano evidenziati i tre tratti psicologici negativi. Il risultato della ricerca ha confermato che gli studenti con i tre tratti psicologi negativi più marcati erano anche quelli che avevano avuto nella loro breve vita più partner sessuali. La maggior parte dei «ragazzi cattivi» ha del resto ammesso di preferire relazioni brevi, ma intense a lunghi rapporti monogami.

James Bond è il personaggio che meglio rappresenta questo tipo di persona, perché racchiude in sé tutti e tre i tratti psicologici negativi: «Egli è chiaramente antipatico, ma è molto estroverso, ha un’estrema curiosità, uccide le persone e ha sempre tante donne» conferma Jonason.

Lo stesso studioso afferma che le persone che nella vita reale sono simili a James Bond, seducendo una donna dopo l’altra, avranno un’intensa vita sessuale e naturalmente avranno più possibilità di avere figli. Tuttavia, date le loro caratteristiche negative, sfuggiranno sempre all’idea di diventare padri.

Generalizzare è sbagliato, ma sembra che l’uomo giudizioso, premuroso e fedele sia meno attraente perchè giudicato troppo ‘noioso’. Al massimo può ambire ad essere il classico migliore amico della donna, col quale lei si confida.

Sarei curioso di sapere l’effetto su una donna di un uomo ‘noioso’ ma con un portafoglio a fisarmonica…

Fate il vostro test

TEST DI PERSONALITÀ

  1. Test dell’autostima
  2. Test dell’empatia
  3. Test dell’assertività
  4. Test dell’introversione-estroversione
  5. Test dell’autocontrollo
  6. Test della sincerità
  7. Test della capacità di ascolto
  8. Test dell’ambizione
  9. Test della testardaggine
  10. Test della permalosità
  11. Test della maturità (under 21)
  12. Test della forza di volontà
  13. Test della pigrizia/laboriosità
  14. Test del conformismo/anticonformismo

TEST SU DISTURBI E DIPENDENZE

  1. Test dell’ansia di Zung
  2. Test della depressione di Zung
  3. Test dello stress
  4. Test della dipendenza da internet
  5. Test del dist. ossessivo-compulsivo
  6. Test del dist. dell’attenzione (adulti)
  7. Test dei disturbi alimentari
  8. Test dell’iperattività (bambini)
  9. Test del dist. della condotta
  10. Test della dipendenza sessuale
  11. Test dello shopping compulsivo
  12. Test del dist. post-traumatico da stress
  13. Test dell’ipocondria
  14. Test della fobia sociale
  15. Test della dipendenza dal fumo
  16. Test della dipendenza dalla televisione
  17. Test della dipendenza dal cellulare
  18. Test della guida pericolosa

TEST DI LOGICA, MEMORIA E ABILITÀ

  1. Test di intelligenza logica
  2. Test di intelligenza pratica
  3. Test della memoria
  4. Test della memoria (inglese)
  5. Test della velocità di lettura
  6. Test della velocità di lettura (inglese)
  7. Test della memoria visiva-fotografica
  8. Test della memoria visiva-fotografica 2
  9. Test della memoria di parole (facile)
  10. Test della memoria di parole (difficile)
  11. Test della memoria di numeri (facile)
  12. Test della memoria di numeri (difficile)
  13. Test di memoria a tempo
  14. Test di memoria a tempo (difficile)
  15. Test di memoria a tempo – calcoli
  16. Test della velocità di scrittura
  17. Test della velocità di scrittura (inglese)
  18. Test della velocità di calcolo
  19. Test dei proverbi
  20. Test dei luoghi comuni

TEST DIVERTENTI

  1. Test dell’apparenza
  2. Test dell’ottimismo-pessimismo
  3. Test della prudenza-imprudenza
  4. Test dell’autoritarismo
  5. Test dell’educazione
  6. Test dell’età mentale
  7. Test dell’enneagramma
  8. Quanto ti resta da vivere?
  9. Test dell’orgoglio
  10. Test della superstizione
  11. Test del livello di soddisfazione
  12. Test della furbizia
  13. Sei vincente o perdente?
  14. Test dei colori
  15. Quanto sei rimasto bambino?
  16. Test dei sapori
  17. Test: scopri la password
  18. Test: trova il percorso
  19. Super test di personalità

via | Nienteansia.it

siamo ciò che mangiamo?

Dalla puntata di Report del 14 aprile 2008

E’ stato calcolato che la terra potrebbe nutrire 10 miliardi di persone che si alimentassero come gli indiani; 5 miliardi che seguissero la dieta degli italiani; ma solo 2,5 miliardi con il regime alimentare degli statunitensi. Questo perché la metà dei cereali che produciamo servono per alimentare gli animali che mangiamo. 820 milioni di persone nel mondo muoiono di fame e altre 800 milioni mangiano come se di pianeti a disposizione ne avessero 5. L’agricoltura industriale e chimica oggi è la causa di un terzo di tutte le emissioni di gas serra che stanno uccidendo il pianeta. Se il nostro futuro e quello della biosfera dipendono da come produciamo e consumiamo quotidianamente cibo, questo carica tutti noi di responsabilità.

Il ciclo completo dell’agricoltura oggi, secondo gli studi della Fao incide per il 30% sul riscaldamento del pianeta, tanto per avere un raffronto, i trasporti non legati al settore dell’alimentazione incidono per il 17%. Il settore zootecnico, invece produce gas serra 296 volte più dannosi del COo2, questo è il letame. L’aumento degli allevamenti è dovuto all’aumento del benessere quindi all’aumento del consumo di carne, questo nonostante tutti gli studi medici dicano, che mangiare troppa carne fa male. Un americano ogni anno ne mangia 122 chili, un italiano 87, un cinese 50, un indiano 4. Bisognerebbe ridistribuirla meglio, ma se il modello è la nostra ingordigia si può rischiare di arrivare alla rovina del pianeta. Un hamburger di 150 grammi, prima di arrivare sulla nostra tavola ha consumato 2500 litri di acqua, tutta quella che serve per irrigare il terreno che cresce mais o il foraggio che serve ad alimentare l’animale. Ma la carne è poca cosa rispetto ad un sistema di produrre e consumare che sfugge alle ogni logica minime di tutela, della salute, del pianeta, del portafogli. Possiamo continuare a fregarcene, oppure vedere di cambiare abitudini.

Il cibo non è solo cibo, è tutto interconnesso. Fertilizzanti, pesticidi, erbicidi, carburanti per i trattori, trasformazioni, refrigerazioni, trasporti. Il nostro mazzetto di asparagi che vengono in aereo dal Perù, quanto avrà contribuito al riscaldamento globale? E la busta di plastica che racchiude 50 grammi di prezzemolo che a occhio e croce costa di più del prezzemolo stesso?

Per produrre un chilo della plastica con cui ci vendono una manciata di prezzemolo tritato o 500 grammi di pomodori si consumano 17 chili e mezzo di acqua, un po’ di petrolio, una spruzzata di zolfo, una di monossido di carbonio e 2 chili e mezzo di CO2, quella che fa crescere il gas serra. Ma prima ancora dobbiamo calcolare i costi di estrazione del petrolio, il trasporto in raffineria, le varie lavorazioni in fabbriche diverse e ad ogni fase un nuovo trasporto. E poi quella plastica diventa subito un rifiuto e bisogna smaltirla. E allora prodotti che sono un pretesto per vendere un imballaggio. Ma quanto vale il prodotto?

Torna il nucleare?

Il ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola (quello che, essendo ministro dell’Interno, dette del ‘rompicoglioni’ all’appena ucciso Marco Biagi e fu costretto a dimettersi, per intenderci), annuncia raggiante: “Entro questa legislatura porremo la prima pietra per la costruzione nel nostro paese di un gruppo di centrali nucleari di nuova generazione”.

Personalmente non sono favorevole ad un ritorno al nucleare per una serie di ragioni, non ultima il fatto che il ritorno all’atomo vorrà dire abbandonare ogni altra alternativa che meriterebbe maggiore attenzione. Aggiungo che nel 2007, a livello globale, dal punto di vista dei nuovi impianti, l’eolico ha battuto il nucleare: l’anno scorso sono stati installati 20 mila megawatt di eolico contro 1,9 megawatt di energia prodotta dall’atomo. E’ un trend consolidato da anni e destinato, secondo le previsioni, a diventare ancora più netto nel prossimo quinquennio.

Non solo: per la prima volta l’eolico ha vinto la gara anche dal punto di vista dell’energia effettivamente prodotta. I due dati non coincidono perché le pale eoliche funzionano durante l’anno per un numero di ore inferiore a quello di impianto nucleare e dunque, a parità di potenza, producono meno elettricità.

La tendenza è consolidata anche negli Usa: il 30% di tutta la potenza elettrica installata durante il 2007 negli Staes viene dal vento e il dipartimento federale dell’energia prevede che entro il 2030 l’eolico raggiunga negli States una quota pari al 20 per cento dell’elettricità creando un’industria che, con l’indotto, darà lavoro a mezzo milione di persone. E’ un dato in linea con l’andamento di paesi europei come la Danimarca (21 per cento di elettricità dall’eolico), la Spagna (12 per cento), il Portogallo (9 per cento), la Germania (7 per cento).

In attesa della quarta generazione di reattori nucleari, che però deve ancora superare scogli teorici non trascurabili e non sarà pronta prima del 2030, le stime ufficiali prevedono una diminuzione del peso del nucleare nel mondo. La Iea (International Energy Agency) calcola che nel 2030 la quota di elettricità proveniente dall’atomo si ridurrà dall’attuale 16% (è il 6% dal punto di vista dell’energia totale) al 9-12%.

Penso anche al fatto che siamo il paese del sole (soprattutto per quanto riguarda il Meridione) e non riusciamo ad attuare una politica di diffusione dell’impiantistica solare. Se solo il governo Berlusconi 2 avesse dato degli incentivi per l’installazione di pannelli solari invece che per l’acquisto dei decoder per il digitale terrestre (volti ad agevolare soprattutto Mediaset Premium) ….

Aggiungo che venti anni fa, attraverso il referendum abrogativo, fu stabilito di fatto l’abbandono del ricorso all’energia nucleare come forma di approvvigionamento energetico, e di lì a qualche tempo le quattro centrali nucleari italiane (Trino Vercellese, Caorso, Latina e Garigliano) furono chiuse.

Secondo un sondaggio condotto dall’Ipr Marketing (per conto dei Verdi, a dir la verità) solo il 38% della popolazione al momento sarebbe favorevole alla apertura di centrali nucleari; percentuale, quest’ultima confermata anche da un sondaggio on line condotto da Repubblica (mentre nell’analogo sondaggio presente su corriere.it solo il 41% si pronuncia sfavorevolmente).

Penso che, quanto meno, la popolazione dovrebbe essere chiamata a pronunciarsi in materia. Ma con questo Governo, la vedo assai dura.

D’altronde è anche vero che lo strumento del referendum nel nostro paese è stato recentementeab-usato e conta sempre meno: non dimentichiamo che gli italiani votarono per l’eliminazione del ministero dell’agricoltura (peraltro non mi pareva una grande idea) e nacque il ministero delle politiche agricole; cosa analoga è accaduta col finanziamento pubblico ai partiti.

I pericoli (fisici) per i ‘bloggers’

Lo stress di tenere aggiornato 24 ore su 24 un blog, combinato con l’assenza di esercizio fisico e di sonno e con una dieta irregolare, sono una miscela potenzialmente letale che ha cominciato a mietere vittime nel mondo del web.

Due settimane fa in Florida è morto Russell Shaw, un prolifico blogger di temi tecnologici: improvviso infarto a 60 anni. In dicembre un altro blogger, Marc Orhant, era passato a miglior vita per un esteso blocco alle coronarie.

Sono casi isolati? Se lo è chiesto il New York Times raccogliendo le lamentele di altri «bloggers» che hanno perso peso o sono diventati obesi, che non riescono più a dormire regolarmente o crollano esausti sulla tastiera: tutti disturbi, se non proprio malattie, attribuite allo stress di dover produrre notizie in un ciclo di informazione non stop in cui la concorrenza è spesso feroce.

Alcuni di quelli che erano nati come diari online sono in effetti diventati negli ultimi anni veri e propri produttori di informazione che fanno concorrenza ai media tradizionali sul fronte della pubblicità. La pressione è enorme soprattutto per i free lance, navigatori della rete pagati spesso neanche dieci dollari a pezzo, ma anche chi sui blog ha costruito una fortuna ha motivo di preoccuparsi.

Non è da oggi che i blogger denunciano pubblicamente contraccolpi fisici del loro mestiere. Molti di loro sono pagati a pezzo, altri a numero di lettori, in una gerarchia retributiva che ripaga lo scoop anche se appena di pochi minuti. La velocità in questi casi è tutto.

Su Problogger.com, l’australiano Darren Rowse, che contribuisce a una ventina di blog oltre ai due da lui curati, ha stilato un piccolo manuale di sopravvivenza: tra i consigli, quello di «tagliare le catene della scrivania» e «tornare a buttar giù idee su taccuini di carta».

via|corriere.it, articolo di di Alessandra Baldini (Ansa)

Salute

I rumori nel sonno alzano la pressione
Chi vive in zone rumorose o trafficate anche durante la notte rischia di più l’ipertensione. L’inquinamento acustico durante il sonno (compreso il partner che russa ) possono infatti alzare la pressione del sangue, anche se si continua a dormire, ignari dei rumori. Lo indica uno studio pubblicato sull’European Heart Journal.

I capi si ammalano meno
Non solo guadagnano meglio e hanno tutta una serie di benefit che rendono meno pesanti le loro giornate di lavoro, hanno anche una salute di ferro! Parliamo dei datori di lavoro, i capi, oggetto di studio di una ricerca australiana condotta dal Northern Rivers University Department of Rural Health e pubblicata sull’Australian Medical Journal che ha rivelato appunto che, generalmente, i boss si ammalano meno frequentemente rispetto ai dipendenti. Tra le motivazioni principali vi è il fatto che i capi sono solitamente meno esposti a contatti con sostanze nocive e cancerogene, ma anche che – a differenza di molti subalterni – alle prime avvisaglie di dolori e malessere possono permettersi di starsene a casa a curarsi, evitando così di dover prendere provvedimenti quando invece la salute è già compromessa.

Troppo telefonino può aumentare i tumori delle ghiandole salivari
Lo ha scoperto una ricerca israeliana pubblicata sull’American Journal of Epidemiology, secondo cui il rischio aumenta del 50 per cento. I ricercatori hanno esaminato 500 pazienti affetti da tumori benigni e maligni delle ghiandole salivari, facendo loro compilare un questionario sulle abitudini nell’uso del telefonino. Quelli che hanno dichiarato di usare molto il telefonino hanno mostrato un rischio doppio di sviluppare il tumore di quelli che non lo usano affatto. A conferma dei risultati, i tumori si sviluppano proprio dal lato dove si usa di più l’apparecchio, e sono più frequenti in campagna dove la scarsità di ripetitori dà vita a radiazioni più intense.

fonte: corriere.it

E se la fragilità fosse una virtù?

Vittorino Andreoli è uno psichiatra e scrittore veronese. Nel suo ultimo libro traccia un elogio della fragilità, arma per sopravvivere in un mondo in cui i valori principali sembrano essere quelli della forza, della potenza del decisionismo e dell’arroganza.

Sostenere che la fragilità è un valore umano potrebbe suonare come un’eresia. Qualsiasi studioso del comportamento animale potrebbe spiegarvi quanto sia indispensabile la paura per la sopravvivenza, ma ammetterebbe solo controvoglia che quella regola vale anche per noi. Eppure ogni giorno i piccoli passi e le grandi svolte della nostra vita ci insegnano che non sono affatto le dimostrazioni di forza a farci crescere, ma le nostre mille fragilità: tracce sincere della nostra umanità, che di volta in volta ci aiutano nell’affrontare le difficoltà, nel rispondere alle esigenze degli altri con partecipazione, aprendoci, quando serve, al loro dolore.

Seguendo le fasi della nostra crescita, Andreoli coniuga i mille volti della fragilità, rappresentandola non come una calamità per sventure, ma come uno scudo che da queste ci difende, perché quello che di solito consideriamo un difetto è invece la virtuosa attitudine che ci consente di stabilire un rapporto di empatia con chi ci è vicino. Con “L’uomo di vetro” Andreoli dimostra una tesi solo in apparenza paradossale: il fragile è l’uomo per eccellenza, perché considera gli altri, suoi pari e non, potenziali vittime, perché laddove la forza impone, respinge e reprime, la fragilità accoglie, incoraggia e comprende.

Benchè sia razionalmente inaccettabile, per Andreoli “il dolore è ciò che ci consente di sperimentare i nostri limiti ed è quindi anche educativo, nonostante cerchiamo di sconfiggerlo, sia a livello fisico che esistenziale. E’ il colore della nostra condizione esistenziale e sperimentarlo, a volte, ci aiuta a vivere, ci riporta alla nostra fragilità. La vera terapia del dolore è non essere soli, è la condivisione, il legame”.

La crisi della coppia comincia dal quinto anno

Secondo uno studio tedesco, dopo meno di cinque anni, la coppia moderna scoppia. Alcuni ricercatori hanno analizzato le tendenze dei divorzi negli Usa, in Scandinavia e in Russia. Le conclusioni sembrano applicabili anche ad altri Paesi, dove le trasformazioni sociali sono state più o meno le stesse.
Pare, infatti, che la svolta vada individuata nella carriera delle donne: da quando hanno smesso di dedicarsi esclusivamente alla famiglia, la crisi si è anticipata. Troppo lavoro e meno tempo da passare insieme o a casa.

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