La multifunzionalità è un rischio?

Le tecnologie evolvono probabilmente più in fretta di quanto i nostri cervelli riescano ad adattarsi. Mica saremo attratti da fasci di informazione che superano le nostre risorse mentali? Uno dei primi atti d’accusa è arrivato nel 2008 con un saggio di Nicholas Carr in The Atlantic (dal titolo «Google ci rende stupidi?»). Di recente però anche alcune ricerche sperimentali confermano i sospetti. A Stanford per esempio c’è un laboratorio dedicato alla comunicazione «fra gli umani e i media interattivi», che ha condotto un test su cento studenti divisi in due gruppi: i multifunzionali e i non-multifunzionali.

Nel primo esperimento, ai due gruppi sono stati mostrati per due istanti consecutivi due rettangoli rossi circondati da due, quattro o sei rettangoli blu. A tutti è stato chiesto di ignorare le figure blu e indicare se le figure rosse avessero cambiato posizione. I non-multifunzionali hanno risposto correttamente, i multifunzionali sono naufragati. Non riuscivano a disinteressarsi di ciò che sapevano essere irrilevante. Il problema è che in test successivi si sono dimostrati meno bravi anche in attività alle quali in teoria uno smartphone dovrebbe addestrare: ricordare sequenze di lettere, o far passare l’attenzione da una cosa all’altra. Quando ai multifunzionali sono stati mostrate insieme cifre e lettere, non sono riusciti a ricordare se avessero visto vocali o consonanti, numeri pari o dispari (i non-multifunzionali invece sì). I neurologi francesi Sylvain Charron e Etienne Koechlin hanno rilevato con la risonanza magnetica che chi svolge due attività simultanee le distribuisce nei due lobi della corteccia frontale. Ma dalla terza in poi la performance crolla, perché lo spazio cerebrale sembra esaurito. E uno studio dell’Università della California, a San Francisco, mostra come l’uso eccessivo degli smartphone privi la mente delle micro-fasi di riposo necessarie alla memoria e alla creatività.

«Chi fa molto multitasking tende a distrarsi, la sola cosa che sa fare meglio è guidare mentre parla al telefono» nota Eyal Ophir, il ricercatore che nel 2009 ha guidato i test di Stanford (ora lavora a RockMelt, una start up che sviluppa un browser). Pietro Scott Jovane di Microsoft Italia, non concorda: «Se davvero fosse così, i risultati scolastici dei giovani d’oggi dovrebbero essere peggiori che nelle generazioni precedenti. E non mi risulta».

Ma più che una verità scomoda, la trappola del multitasking per i colossi dell’elettronica sembra il prossimo business: vincerà chi propone il gadget che seleziona meglio le funzioni desiderate volta per volta. Nel frattempo anche Caleigh Gray di Dallas ha qualcosa da dire: ha due anni e mezzo e soffre di una paralisi cerebrale che non le permette di dire neanche un sì o un no. Ma, secondo il Wall Street Journal, ora che ha un iPad per la prima volta in vita sua riesce finalmente a comunicare.

via | Gli smartphone ci rendono più stupidi?

Il farmaco che stacca la corrente ai tumori

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Avviata la sperimentazione clinica di un medicinale capace di neutralizzare diversi tipi di cancro. Una scoperta “italiana” realizzata da Pier Paolo Pandolfi alla Harvard Medical School di Boston.

Mandare in tilt le cellule tumorali, causandone l’invecchiamento precoce fino alla farle morire. Senza usare medicinali tossici. È il “trucco” che può aprire la strada alla sconfitta di ogni tipo di cancro, ideato, testato e trasformato in farmaco efficace da Pier Paolo Pandolfi, un ricercatore della Harvard Medical School di Boston. I risultati della ricerca sono stati annunciati su Nature e  riguardano il buon esito dei test di fase 1 sull’uomo dei primi 23 farmaci anticancro di nuova generazione, progettati per mandare in corto circuito il tumore, avviati a giugno 2009 da Pandolfi.
Il trucco, spiega il ricercatore originario di Perugia e oggi scienziato di fama mondiale, consiste nel neutralizzare un gene chiamato Skp2 innescando così il processo di invecchiamento che impedisce alle cellule tumorali di dividersi e di crescere, lasciando tranquille quelle dei tessuti sani. «Se si blocca Skp2 (con farmaci anti-Skp2) le cellule malate riattivano un programma di senescenza naturale». Poiché il processo di senescenza è universale, riguarda cioè tutte le cellule malate del corpo, i farmaci testati a Boston potrebbero funzionare contro molti, se non tutti, i tumori. Uno di questi è già in fase di sperimentazione clinica.
In particolare, bersaglio dei medicinali sono le proteine che attivano o disattivano altre proteine, provocando una cascata di reazioni come in un circuito elettrico. I farmaci intervengono o aumentando ulteriormente l’energia (uccidendo le cellule tumorali come lampadine che esplodono per l’eccessivo carico di corrente), oppure riducendola (togliendo così alimento alle cellule malate). In entrambi i casi gli effetti collaterali sono molto ridotti rispetto all’attuale chemioterapia, mentre l’efficacia è decisamente maggiore. 
Oggi sono noti solo alcuni dei geni legati all’invecchiamento delle cellule, e la scoperta di Pandolfi è del tutto nuova perché riguarda un “programma di invecchiamento” cellulare finora sconosciuto e che funziona in modo indipendente da quelli finora osservati. Utilizzando cellule maligne coltivate in provetta e topolini colpiti da diversi tipi di cancro, gli esperti hanno scoperto che per far invecchiare le cellule malate e quindi eliminare i tumori basta disattivare Skp2. In questo modo le cellule tumorali, divenendo incapaci di moltiplicarsi, cessano di vivere. Si tratta di assecondare un meccanismo di difesa naturale che abbiamo. «La risposta di senescenza è lo stesso meccanismo che protegge la pelle dai danni del sole. La cellula “scottata” e danneggiata attiva fisiologicamente un programma di autodistruzione. Il processo di senescenza – nota Pandolfi – potrebbe rivelarsi una cura valida per molti, forse tutti i tumori infatti la risposta di controllo che avvia la senescenza in caso di anomalie cellulari oncogeniche avviene in tutte le cellule del nostro corpo. Sta a noi sfruttarla».
In un recente convegno organizzato al Centro di Biotecnologie Molecolari dell’università di Torino scienziati di tutto il mondo avevano convenuto che questo è un campo di ricerca che si sta evolvendo in maniera eccezionale e che sta portando a nuovi farmaci non più futuribili, ma reali. 
La scoperta di Pandolfi ne è la conferma. 

via | Terra News

Allarme cellulari

Tumori rari. Piccoli numeri, dunque. Ma il collegamento tra l’insorgenza di tumori cerebrali e uso dei cellulari c’è. A lanciare l’allarme sono decine di ricercatori, medici, esperti di salute pubblica, fisici di 12 Stati europei e nordamericani, tutti indipendenti e tutti convinti nel firmare il documento ‘Cellulari e tumori cerebrali: 15 motivi per essere preoccupati’ (www.radiationresearch.org/). Che anticipa le conclusioni del grande studio Interphone, condotto in 13 Paesi, Italia compresa, sul quale sono stati investiti 30 milioni di euro e che dovrebbe essere reso noto entro dicembre.

Il panel passa in rassegna tutti gli studi fatti sull’argomento negli ultimi anni, fa la tara a quelli ottimisti sponsorizzati dalle aziende e a quelli pessimisti. Calibra e rilegge tutti i dati, che sono una marea. E conclude che l’aumento del numero di casi di cancro cerebrale collegato all’utilizzo estensivo del cellulare, per quanto piccolo, c’è e si può misurare: per ogni cento ore di uso del telefono il rischio di neoplasie del cervello crescerebbe del 5 per cento. Quando l’uso è estensivo gli scienziati calcolano che l’incidenza del tumore potrebbe crescere per ogni anno dell’8 per cento; per ogni decennio del 280 per cento; e se l’impiego è iniziato nell’adolescenza sale addirittura del 420 per cento. E questo accade perché i campi magnetici agiscono sul Dna. Inoltre indebolirebbero la barriera esistente tra cervello e circolo sanguigno, e danneggerebbero la fertilità maschile.
L’8 per cento l’anno sarebbe un’enormità se lo applicassimo ai big killer (tumori del seno, del colon, del polmone che colpiscono decine di migliaia di persone). Faccenda diversa se si parla di cancri rari: in Italia, nel loro insieme, i tumori cerebrali colpiscono 10 italiani su 100 mila all’anno (circa 15 mila persone, per lo più sotto i trent’anni). Le forme più collegate ai cellulari sono il glioma, che rappresenta quasi la metà dei casi, circa 7 mila nuovi malati l’anno; il meningioma, il 15 per cento, circa 2 mila nuovi malati l’anno; e il tumore del nervo acustico l’8 per cento del totale. Va detto, però, che tra il 1986 e il 2005 si è avuto un aumento dei casi dello 0,5 per 100 mila abitanti tra gli uomini e dello 0,9 per cento tra le donne.
Queste le opinioni del super panel indipendente alle quali il grande e costoso Interphone non potrà aggiungere granché. Anche perché, nell’attesa, sono fioccate critiche e maldicenze. A partire dalla constatazione che Interphone, pur essendo sponsorizzato dall’Oms, è in gran parte finanziato da industrie. E che nessuno capisce perché dallo studio siano stati esclusi i bambini, considerati da tutte le autorità sanitarie del mondo i soggetti più vulnerabili.

Telefonini: dieci regole salva salute

Ecco le proposte degli scienziati per minimizzare i rischi

Quando si telefona meglio evitare di accostare alla testa un telefono del tutto senza fili (tipo bluetooth); si deve quindi preferire, ogni volta che si può, un telefono con base fissa e collegata a un filo, oppure il viva voce.

Il cellulare va tenuto il più possibile lontano dal corpo e quindi non in tasca; se non se ne può fare a meno, meglio acquistare una custodia schermante (ve ne sono diverse in commercio)

Limitare al massimo l’uso sui mezzi di trasporto, in aree rurali o comunque lontane dalle antenne: la ricerca del segnale richiede una dose maggiore di radiazioni.

Cercare di lasciare spento il cellulare fino a quando non si ha necessità di comunicare.

 

Preferire il telefono fisso al cellulare.

 

Evitare di usare il cellulare dentro agli edifici, soprattutto se costruiti con molto acciaio.

 

L’uso del cellulare prima dei 18 anni è sconsigliato. La Francia ha annunciato una legge che lo vieta al di sotto dei 12; il Canada ha dichiarato che i bambini al di sotto degli otto anni devono usarlo solo in caso di emergenza e che i teenagers devono parlare al massimo dieci minuti per volta e Israele ha fatto campagne simili. La Finlandia ha emanato precauzioni severe per i bambini: incoraggiare l’uso degli sms, controllare la durata delle conversazioni, limitare l?uso dei dispositivi wireless.

Non permettere al proprio figlio di dormire con il cellulare sotto il cuscino o comunque vicino al letto.

Richiedere prove scientifiche sulla sicurezza dei nuovi dispositivi wireless prima di concedere l’introduzione in commercio e obbligare i produttori a porre indicazioni chiare sulle confezioni.

Applicare il principio di precauzione per ridurre il rischio personale e, soprattutto, proteggere bambini e adolescenti.

via | Allarme cellulari

Influenza A: contagio o psicosi?

Paura o ipocondria? Organizzazione o caos? Queste le domande che tutta l’Italia si sta facendo in queste ore. Se nelle scuole dei nostri figli tornano, dopo alcune settimane di assenza, ragazzi guariti dall’influenza A cosa è meglio fare? Giusto o sbagliato chiudere le scuole? E negli uffici? E negli ospedali? La vaccinazione è una contromossa utile oppure può essere dannosa? Al forum de l’Unità ne parliamo con Stefania Salmaso, direttore del Centro nazionale di epidemiologia (Cnesps), dirigente dell’Istituto superiore di sanità e delegata italiana dell’Emea, l’autorità europea per il farmaco, e con Massimo Andreoni, professore ordinario di Malattie infettive, direttore del dipartimento di salute pubblica e biologia cellulare all’università Tor Vergata, primario del reparto Malattie infettive.

L’anomalia è la diffusione, non la potenza
Cos’è questa influenza e in cosa è diversa dalla stagionale? «Si tratta di un fenomeno normale e in qualche modo previsto: i virus dell’influenza sono dei gran trasformisti. Ogni volta che si riproducono ne escono varianti sempre nuove, a volte non hanno grande successo, a volte colpiscono molte persone. Con questi cambiamenti continui emerge un cambiamento maggiore, così che la maggior parte di noi sia più suscettibile al nuovo virus. L’anomalia quindi è nella diffusione e nell’estensione, non nella forza del virus».

Le pandemie, una ogni trent’anni
«L’ultima pandemia risale alla fine degli anni Sessanta e quindi era in qualche modo prevedibile, ma non siamo stati pronti ad affrontarla. Gran parte del mondo scientifico era orientato a guardare verso oriente, verso il virus dell’influenza aviaria. Tutti erano preparati a una pandemia che fosse simile all’H5N1, l’aviaria: lo scenario peggiore. Per questo sono state messe in campo misure di prevenzione: il vaccino che usiamo oggi è stato realizzato nel 2007. Fare una stima delle vittime collegate all’influenza, poi, non è facile. Spesso l’influenza uccide perché produce complicanze a precedenti patologie».

Molto contagiosa, minore gravità
Differenze tra questa epidemia e le precedenti? «Grande diffusione, grande capacità del virus di diffondersi, minore gravità del quadro clinico. I sintomi sono simili a quelli che conosciamo: tosse, raffreddore, febbre alta. La differenza è che la stagionale dura cinque o sei giorni, mentre l’influenza A dura un po’ meno.

Difficile da distinguere dalla stagionale
In questo momento si può dare per scontato che le infezioni alle quali si è esposti sono dovute al virus H1N1. «All’inizio delle epidemie si è molto attenti a identificare il virus, dato per certo che tutte le malattie sono dovute a quel virus si smette di fare questa ricerca». Anche facendo il test, il trattamento tra le due influenze non è differente. «Non ha rilevanza: è un quadro di sindrome influenzale, è un virus influenzale, l’approccio terapeutico è identico con farmaci antinfluenzali specifici».

Ok il vaccino, ma niente psicosi
La corsa al vaccino è giustificata? «Certamente è meglio prevenire che curare: i vaccini sono la più grande scoperta della storia della medicina. Ma è corretto evitare la psicosi: se non si è soggetti a rischio, il decorso è comune ha qualsiasi influenza. In molti casi poi non serve nemmeno un trattamento farmacologico particolare».

Quanto dura una pandemia?
«Lo studio delle pandemie del passato ci dice che si va a ondate, alcune più benigne e altre più severe. Forse un paio d’anni a livello mondiale ma non possiamo saperlo: certo dobbiamo essere preparati anche a situazioni peggiori di questa. Le epidemie durano massimo sei o sette settimane sul territorio nazionale, ma qua ci troviamo di  fronte a una popolazione che non è semi-immune, la popolazione è più suscettibile».

Perché siamo più esposti rispetto al passato?
«Siamo suscettibili a questo virus perché è un virus nuovo, che non circolava dagli anni Cinquanta: per questo gli anziani si ammalano meno e i giovani un po’ di più. Dire che i bambini si ammalano perché più cagionevoli è falso: i bambini si nutrono meglio, si curano meglio».

Parlarne molto aumenta o placa l’ansia?
«Probabilmente più che aumentare l’ansia, aumenta la confusione». «Ci troviamo in empasse, però: l’errore è pensare di poter avere gli strumenti per giudicare ogni notizia in propria. In questo i media giocano un ruolo fondamentale, proprio perché fanno da mediatore. La situazione è preoccupante anche perché davanti alla delegittimazione degli esperti, tutti i messaggi hanno lo stesso peso, viene meno il principio di autorevolezza. C’è una tendenza alla bagarre generale, alla leggenda metropolitana, al "chissà cosa c’è sotto"». «Probabilmente non si è stati bravi a diffondere messaggi giusti ed equilibrati. Le contraddizioni in cui sono incappate le autorità confondono persino la classe medica».

Dubbi sul vaccino?
«Esiste un vaccino che è stato controllato, testato, provato, collaudato, registrato, valutato, approvato: fidatevi delle istituzioni. Che il singolo medico davanti a decine e decine di livelli di controllo la pensi diversamente è francamente bizzarro. È stato fatto tutto quello che doveva essere fatto: qual è l’alternativa?»

Chi si deve vaccinare?
«È stato stabilito un ordine, il primo fronte è stato quello delle categorie essenziali, a cominciare con gli operatori sanitari e la classe medica. In contemporanea, tutti i soggetti che presentano condizioni di salute a rischio sotto i 65 anni, i bambini e le donne nel secondo e terzo trimestre di gravidanza».

Botta e risposta
Chi ha avuto l’influenza A ed è guarito deve vaccinarsi o è immune? «È immune». È possibile che influenza A e influenza stagionale si presentino contemporaneamente? «È molto raro ma anche molto pericoloso perché il virus potrebbe trasformarsi nell’organismo: proprio per questo motivo è bene vaccinarsi per tempo, magari anche a entrambe le patologie. Basta farlo su due braccia diverse e i due vaccini possono essere somministrati contemporaneamente».

La mascherina
«La mascherina devono metterla le persone che hanno contratto il virus. Mettere la mascherina per evitare di essere contagiati non serve a niente: la mascherina non protegge dall’esterno, ma evita di diffondere all’esterno il virus». «Bene anche lavarsi spesso le mani, che è sempre una buona abitudine, ma è un caso minimale: nel 95 per cento di casi il virus si propaga per via diretta, perché si sta troppo vicino a una persona affetta dal virus».

via | Influenza A, il forum con i medici

Vignette

vignette di Staino e Maramotti

Vauro e Staino sul PD

http://www.vauro.net/

http://www.sergiostaino.it/

 

Vignette

vignette di Vauro

 

  vignette di Staino

Il governo deve mantenersi a distanza di sicurezza dall’industria

Interessante l’articolo tratto dal settimanale scientifico internazionale “Nature”.

La traduzione è a cura del sito Italia dall’estero.

“Mani Pulite, per favore”

Quindici anni fa al culmine della campagna italiana anticorruzione ‘Mani Pulite’, la polizia irruppe nell’abitazione di Duilio Poggiolini, il capo del comitato nazionale per la registrazione dei farmaci e trovò lingotti d’oro nascosti sotto il suo pavimento. Per molti italiani l’immagine di quei lingotti lucenti è ancora vivida, a simboleggiare in modo permanente i tempi in cui i funzionari del governo, compreso il Ministro della sanità, prendevano mazzette dalle industrie farmaceutiche per approvare farmaci e stabilirne i prezzi.

Da allora sono stati presi provvedimenti per evitare che tale situazione si ripetesse, per cui oggi risulta preoccupante la scelta del governo Berlusconi di rimuovere Nello Martini, farmacista senza legami politici, dalla gestione dell’AIFA, l’agenzia autonoma creata nel 2004 per approvare i farmaci e monitorarne l’impiego. Martini è riuscito con successo a limitare l’incremento della spesa farmaceutica al 13% dell’intero budget della spesa sanitaria, ma così facendo ha scatenato le ire dell’industria. Solo poche settimane fa i pubblici ministeri di Torino hanno accusato Martini di “disastro colposo” per ritardi burocratici nell’aggiornamento delle informazioni sugli effetti collaterali di alcuni farmaci, benché nessuno di essi richiedesse più di una minima ristesura del testo.

Martini è stato rimpiazzato a metà luglio dal microbiologo Guido Rasi, membro dell’amministrazione dell’AIFA e descritto dalla stampa italiana come vicino ad Alleanza Nazionale, il partito di estrema destra che fa parte della coalizione del governo Berlusconi. In modo ancor più preoccupante il governo, insediatosi a maggio, dichiara di voler ridurre i poteri dell’AIFA separando la determinazione del prezzo dei farmaci dalla valutazione tecnica sulla loro efficacia, restituendo il potere decisionale sui prezzi al Ministero della sanità e del welfare.

In un momento in cui tutte le nazioni faticano per riuscire a pagare, con budget ridotti, i prezzi sempre più alti dei farmaci di nuova generazione, questa scelta ha poco senso. Se l’Italia vuole effettuare un’efficace politica sui costi sanitari allora l’agenzia indipendente deve essere in grado di integrare tutte le informazioni tecniche con quelle economiche. Per di più le connessioni tra i Ministeri della sanità e del welfare con il sistema industriale sono sgradevolmente strette: per esempio la moglie del ministro Maurizio Sacconi è direttrice generale di Farmindustria, l’associazione che promuove gli interessi delle aziende farmaceutiche.

Infatti il Governo Berlusconi ha già manifestato l’inquietante tendenza di permettere a interessi industriali di estendere la loro influenza su agenzie dello stato. Poche settimane dopo il dimissionamento di Martini, l’agenzia spaziale italiana è stata posta nelle mani di un commissario a capo della divisione spazio del gigante aerospaziale Finmeccanica. Il governo dovrebbe pensare due volte se è davvero il caso di riaprire la porta che è stata sbarrata dopo il caso Poggiolini.

La sicurezza del nucleare

E’ noto che il nuovo Governo e parte della opposizione (ombra) sono favorevoli, contro il volere della popolazione (sancito da apposito referendum) ad un ritorno al nucleare.

Ci stanno propinando in tutte le salse la favoletta che non ci sono alternative, che gli impianti sono sicuri.

Ebbene, due settimane dopo le polemiche scoppiate in seguito a una fuga di liquido contenente uranio, la centrale nucleare di Tricastin, circa 200 chilometri dall’Italia, crea nuovamente allarme e polemiche: ben cento dipendenti sono stati «leggermente contaminati» dalla fuoriuscita di radio-elementi da una tubatura durante un´operazione di manutenzione. Novantasette dipendenti dell’Electricité de France e di imprese appaltatrici che lavoravano nell’edificio sono stati trasferiti in infermeria per essere sottoposti a esami medici per verificare il rischio di contaminazioni. Anche altri 32 impiegati del sito, che avevano attraversato l’edificio poco prima o poco dopo la fuga delle sostanze, sono stati controllati.

L’incidente è il secondo che si è verificato a Tricastin nelle ultime due settimane. Nella notte tra il 7 e l’8 luglio, durante alcune operazioni di pulitura, trenta metri cubi di una soluzione contenente 12 grammi d’uranio per litro si sono riversati in due fiumi dallo stabilimento Socrati-Areva Nc. Dopo un’inchiesta interna, il colosso energetico Areva ha dovuto ammettere una «mancanza di coordinazione evidente tra le squadre incaricate dei lavori e quelle responsabili delle verifiche».
Pochi giorni dopo, il 17 luglio, un secondo incidente in un’altra centrale, ma a Roman sur Isere (Drome), sempre di proprietà di Areva: a causa della rottura di una canalizzazione nell’impianto di combustibili si è verificata una fuga di liquido radioattivo, che pare, naturalmente secondo i tecnici del colosso francese, non abbia avuto «alcun impatto sull’ambiente». Venerdì scorso, poi, ben quindici operai dell’impianto nucleare di Saint Alban, dell’Edf, nella regione dell’Isere (sud della Francia), sono stati contaminati dalla fuoriuscita di liquido radioattivo.

E mentre Scajola minimizza («Incidenti francesi enfatizzati»), per Ermete Realacci (Pd) «uno dei problemi che il nucleare porta con se è la mancanza di trasparenza. È sconcertante che solo oggi venga resa nota la notizia che 100 operai siano rimasti contaminati dopo l’incidente della centrale di Tricastin. Non è neanche chiaro se ci sia stato o meno un nuovo incidente. Chiediamo al Ministro dell’Ambiente e al Governo italiano di chiedere urgentemente all’Aiea di riferire senza omissioni quanto accaduto in Francia». Per Bonelli (Verdi) «Il nucleare radioattivo è insicuro e costoso e non è una soluzione nè alla questione climatica che a quella energetica. Il Governo Berlusconi abbandoni la follia del ritorno a nucleare; se così non fosse si compierebbe una vera e propria truffa nei confronti dei cittadini sulle cui spalle ricadrebbero gli enormi costi economici, sociali ed ambientali. Siamo pronti a mobilitarci per contrastare questo imbroglio ai danni degli italiani». Per l’ex ministro dell’Ambiente, Pecoraro Scanio: «Si tratta di un vero e proprio allarme nucleare: quattro incidenti a centrali atomiche nel Paese più attrezzato dal punto di vista tecnico dimostrano quanto sia rischioso il ritorno all’atomo. Se il governo non rinuncerà a questa vera e propria follia di tornare al nucleare lavoreremo per promuovere un nuovo referendum».

LE ALTERNATIVE CI SONO. Attualmente, l’energia solare raddoppia nel giro di un anno e quella eolica aumenta del 42%, ma nel ricorso alle energie rinnovabili l’Italia rimane indietro. A causa anche dell’incremento dei consumi il traguardo del 20 per cento di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili entro il 2020 fissato dall’Unione Europea anziché avvicinarsi si allontana.

In testa alla speciale classifica, con il 61,9% dell’energia prodotta da rinnovabili, c’è l’Austria, che ha saputo combinare alla tradizionale idroelettrica alpina politiche di incentivo al solare e all’eolico.

Stessa scelta fatta dalla Svezia, ora a quota 51,3% (con le biomasse al posto del fotovoltaico), mentre la Germania, storicamente quasi priva di idroelettrico, scommettendo sul futuro sta puntando su sole e vento, raggiungendoci a quota 15,7%.

E noi saremmo il paese del sole …

siamo ciò che mangiamo?

Dalla puntata di Report del 14 aprile 2008

E’ stato calcolato che la terra potrebbe nutrire 10 miliardi di persone che si alimentassero come gli indiani; 5 miliardi che seguissero la dieta degli italiani; ma solo 2,5 miliardi con il regime alimentare degli statunitensi. Questo perché la metà dei cereali che produciamo servono per alimentare gli animali che mangiamo. 820 milioni di persone nel mondo muoiono di fame e altre 800 milioni mangiano come se di pianeti a disposizione ne avessero 5. L’agricoltura industriale e chimica oggi è la causa di un terzo di tutte le emissioni di gas serra che stanno uccidendo il pianeta. Se il nostro futuro e quello della biosfera dipendono da come produciamo e consumiamo quotidianamente cibo, questo carica tutti noi di responsabilità.

Il ciclo completo dell’agricoltura oggi, secondo gli studi della Fao incide per il 30% sul riscaldamento del pianeta, tanto per avere un raffronto, i trasporti non legati al settore dell’alimentazione incidono per il 17%. Il settore zootecnico, invece produce gas serra 296 volte più dannosi del COo2, questo è il letame. L’aumento degli allevamenti è dovuto all’aumento del benessere quindi all’aumento del consumo di carne, questo nonostante tutti gli studi medici dicano, che mangiare troppa carne fa male. Un americano ogni anno ne mangia 122 chili, un italiano 87, un cinese 50, un indiano 4. Bisognerebbe ridistribuirla meglio, ma se il modello è la nostra ingordigia si può rischiare di arrivare alla rovina del pianeta. Un hamburger di 150 grammi, prima di arrivare sulla nostra tavola ha consumato 2500 litri di acqua, tutta quella che serve per irrigare il terreno che cresce mais o il foraggio che serve ad alimentare l’animale. Ma la carne è poca cosa rispetto ad un sistema di produrre e consumare che sfugge alle ogni logica minime di tutela, della salute, del pianeta, del portafogli. Possiamo continuare a fregarcene, oppure vedere di cambiare abitudini.

Il cibo non è solo cibo, è tutto interconnesso. Fertilizzanti, pesticidi, erbicidi, carburanti per i trattori, trasformazioni, refrigerazioni, trasporti. Il nostro mazzetto di asparagi che vengono in aereo dal Perù, quanto avrà contribuito al riscaldamento globale? E la busta di plastica che racchiude 50 grammi di prezzemolo che a occhio e croce costa di più del prezzemolo stesso?

Per produrre un chilo della plastica con cui ci vendono una manciata di prezzemolo tritato o 500 grammi di pomodori si consumano 17 chili e mezzo di acqua, un po’ di petrolio, una spruzzata di zolfo, una di monossido di carbonio e 2 chili e mezzo di CO2, quella che fa crescere il gas serra. Ma prima ancora dobbiamo calcolare i costi di estrazione del petrolio, il trasporto in raffineria, le varie lavorazioni in fabbriche diverse e ad ogni fase un nuovo trasporto. E poi quella plastica diventa subito un rifiuto e bisogna smaltirla. E allora prodotti che sono un pretesto per vendere un imballaggio. Ma quanto vale il prodotto?

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