Il backup degli scontrini

Per avere diritto alla riparazione in garanzia di un prodotto occorre esibire il relativo scontrino , in modo che l’esercente abbia una prova tangibile dell’acquisto. Ma conservare la ricevuta per 24 mesi dalla data in cui si è comprato l’oggetto non è semplice: spesso lo scontrino va perso o diviene illeggibile per via dell’inchiostro che sbiadisce.
Per evitare queste problematiche è nato Waarry!

waarry.com
Questo servizio, gratuito, è molto semplice: dopo aver completato la procedura di registrazione,  si scatta una foto allo scontrino tramite telefonino (che provvede anche ad inserire i dati riguardanti la geolocalizzazione se dotato di GPS) e lo si invia tramite posta elettronica a save@waarry.com.
Oppure, in alternativa alla foto con il telefonino, si può scansionare lo scontrino direttamente dal pc e spedire l’immagine sempre allo stesso indirizzo sopracitato.
Waarry provvederà a riconoscere automaticamente il mittente dall’email e memorizza la foto dell’iscritto nel suo archivio.
Utilizzando la ricerca all’interno del sito, si potrà rapidamente risalire allo scontrino desiderato tra quelli salvati in precedenza e stamparlo.

via | Fai il backup degli scontrini!

Bici in città e pale eoliche: così si vince la sfida verde

A Brema, a differenza che a Roma o Milano, sanno che se togli le auto e non vuoi che la città si fermi devi offrire qualcosa in cambio. Tipo più mezzi pubblici, più piste ciclabili, più car sharing. Una politica a tre punte che nel 2008 ha fatto registrare, per la prima volta, un’inversione di tendenza: il numero delle macchine ha cominciato a diminuire (-1,6%) nonostante un lieve aumento della popolazione (+0,2%). Ma il vero vincitore, in questa guerra di spostamenti decimali, è stato il trasporto pubblico che ha segnato una crescita del 3,6%. È uno dei casi di eccellenza raccontati in "La corsa della green economy. Come la rivoluzione verde sta cambiando il mondo" di Antonio Cianciullo e Gianni Silvestrini (Edizioni Ambiente, 201 pag., 14 euro). Il libro, scritto dall’inviato di Repubblica assieme a un ricercatore del Cnr, fa una vasta rassegna internazionale di come la corsa all’innovazione ecologica sta cambiando sia i connotati delle città più avvertite che quelli di molte aziende. C’è l’ennesima conferma della civiltà scandinava, con il primato di Stoccolma dove una fermata di trasporto pubblico non è mai più lontana di trecento passi. Come se non bastasse, se il tram non passa entro venti minuti, il passeggero mancato ha diritto a prendere il taxi gratis. Quando si dice trattare il cittadino come un cliente.
Oppure la scoperta del record di Friburgo, dove ci sono più biciclette che abitanti e sulle strade vige la regola dei terzi: un terzo alle bici, un terzo ai mezzi pubblici e un terzo alle auto. Qualità della vita a parte, la rassegna si occupa anche della qualità del capitalismo. L’americana Firstenergy, per dire, invece di investire 380 milioni di dollari in una centrale a carbone esistente ha preferito metterne 200 milioni su un impianto a biomassa. Tra il passato remoto e il futuro prossimo non ha avuto dubbi su dove puntare. Lo stesso non si può dire dell’Italia, con il suo discusso ritorno al nucleare.

"Una scommessa azzardata anche sul piano economico" la definisce Maurizio Ricci, giornalista di lungo corso a Repubblica, nel suo "Atlante ragionato delle fonti di energia rinnovabili e non" (Muzzio editore, 176 pag., 19 euro). Una serie di illuminanti reportage alle radici dell’energia. Da quello che rimane dei super-pozzi di petrolio, dall’Arabia Saudita allo Yucatan, a quello che sarà delle promesse più pubblicizzate, dall’idrogeno alle biomasse. "Da una parte ci sono gli alti costi" spiega Ricci, che ha visitato le centrali atomiche più moderne del mondo, "dall’altra resta il fattore sicurezza. Il rischio che qualcosa vada storto è basso ma in quel caso i danni sarebbero altissimi e, per definizione, mondiali, che non si fermano alle frontiere. Tantopiù che non esiste ancora un vero organismo di controllo internazionale: perché l’Aiea intervenga deve essere invitata da un governo". Alternative verosimili, non buone solo per il libro dei sogni del buon ecologista? "Intanto bisogna puntare sull’efficacia della rete. Perché è vero che né il sole né il vento, in un determinato luogo, ci sono sempre ma è anche vero che da qualche altra parte, in quel momento, splenderà e soffierà. Il trucco, quindi, è fare una rete abbastanza vasta e intelligente per prendere l’energia da dov’è e distribuirla dove serve, in un flusso il più possibile costante. È quello, ad esempio, che fa il progetto Desertec che vuole far arrivare l’energia prodotta in Africa in Europa". Se c’è una cosa che non lo convince, tra le applicazione rinnovabili più reclamizzate, è l’auto a idrogeno. "Perché prendere elettricità per creare idrogeno da cui estrarre elettricità?", si chiede uno degli esperti che ha intervistato. "Con 100 chilowattora di elettricità un’auto elettrica fa 120 chilometri, una a idrogeno 40". Insomma, meglio evitare giri inutili per costosissime fuel cells e attaccarsi direttamente alla corrente.
Nel frattempo i Paesi più orientati al futuro preparano ambiziosi cambi di guardia. Entro dieci anni, ora è il libro di Cianciullo la fonte, le fonti rinnovabili in Germania supereranno il settore automobilistico quanto a fatturato. E nel mondo gli impianti eolici creati nel 2009 hanno prodotto più energia delle centrali atomiche installate negli ultimi cinque anni. Risultati che non arrivano per caso. Nei pacchetti di stimolo per rivitalizzare l’economia c’è chi ha preso la quota verde sul serio e chi no. In Cina hanno investito il 37,8% in quel settore. In Germania il 13,2. In Italia l’1,3. Se ci impegniamo un decimo, poi non possiamo pretendere chissà che.

via | Repubblica.it

Appello dei docenti universitari contro il nucleare

nucleare

A chi preferite credere, ai politici o agli scienziati? Un gruppo di docenti universitari e ricercatori ha pubblicato l’appello “Perché l’Italia non deve tornare al nucleare e deve invece sviluppare le energie rinnovabili”.

Sul web si sono aggiunte migliaia di firme di altri docenti universitari e ricercatori. Le firme di noi comuni mortali vengono raccolte separatamente: e sono già legioni.

L’appello è diretto ai candidati alla presidenza delle Regioni, ed elenca i motivi ecologici ed economici che rendono sbagliata la scelta nucleare.

Secondo gli scienziati, la corretta politica energetica italiana deve basarsi anzitutto sulla riduzione dei consumi (eliminazione degli sprechi, efficienza energetica) e poi sullo sviluppo dell’energia solare e delle altre energie rinnovabili.

Dicono che i costi delle energie rinnovabili scenderanno certamente nei prossimi 10 anni, mentre i costi del nucleare sono non ben definiti e destinati ad aumentare, e “la costruzione delle centrali, se mai inizierà, dovrà essere molto probabilmente sospesa perché fra dieci anni il nucleare non sarà più economicamente conveniente”.

E poi, i soldi investiti nelle energie rinnovabili oggi possono “cominciare a produrre energia e a contribuire all’indipendenza energetica in pochi mesi. Nel caso del nucleare, invece gli enormi investimenti di oggi porteranno a produrre nuova energia nel migliore dei casi tra dieci o quindici anni”.

L’energia elettrica prodotta col nucleare è in diminuzione netta nel mondo, si legge nell’appello degli uomini di scienza, “semplicemente perché non è economicamente conveniente in un regime di libero mercato”. Infatti nessuna impresa privata è disposta ad investire quattrini nel settore a meno che lo Stato (cioè i contribuenti) non si faccia carico dei costi nascosti (gestione delle scorie, dismissione degli impianti, assicurazioni), o a meno che lo Stato non garantisca ai produttori di energia nucleare consumi alti e prezzi alti, a svantaggio dei cittadini.

L’appello contro il nucleare sfata poi vari miti: l’atomo non contribuisce all’indipendenza energetica (non c’è uranio in Italia) e non è ad emissioni zero di gas serra: l’estrazione e il trattamento dell’uranio sono basate sui combustibili fossili, così come la costruzione e la dismissione delle centrali.

I problemi di sicurezza non sono stati eliminati, le scorie e il decommissionamento degli impianti costituiscono un’eredità avvelenata che si accolla ai posteri sperando che se la sbroglino in qualche modo.

Aumentare produzione e consumo di energia significa “correre verso il collasso economico, ecologico e sociale”, dicono i ricercatori. Bisogna imparare ad usare meno energia (isolamento termico degli edifici, trasporti pubblici…) e ad usarla meglio.

Così parlano gli scienziati. I politici di governo ci promettono meraviglie atomiche. Voi a chi preferite credere, ai politici o agli scienziati?

Su energia per il futuro l’appello degli scienziati contro il nucleare

via | Blogeko

Distributore automatico di pizza

letspizza01[1]Non ci ho creduto finchè non l’ho vista personalmente (all’aeroporto Punta Raisi di Palermo).

Let’s Pizza è un distributore automatico in grado di creare la pizza impastandola al momento: a differenza di sistemi analoghi che riscaldano una pizza precotta e surgelata, sforna la pietanza partendo dai singoli ingredienti.

La macchina impasta la farina con l’acqua, spiana la pasta, aggiunge pomodoro, mozzarella ed altri ingredienti freschi, infine cuoce la pizza e la serve su un apposito contenitore di cartone.

E’ un’invenzione di un italiano, Claudio Torghele, imprenditore 56enne di Rovereto ma residente in Usa

Ministro in overdose, urge megavaccino(di A. Robecchi)

Statisticamente è più facile morire nel centro di Milano stritolati da un calamaro gigante con la pipa e la sciarpa del Milan che di influenza A.

Nonostante questa evidenza, il ministero della sanità italiano ha acquistato 24 milioni di dosi di vaccino per 184 milioni di euro stipulando con la Novartis un contratto che persino un caporale di Rosarno avrebbe considerato troppo iniquo.

Nell’occasione, gli italiani si sono rivelati meno fessi del previsto: magari guardano il Tg1 e credono che Craxi era un santo. Magari guardano il Tg5 e sono convinti che c’è il boom economico. Ma quando si è trattato di farsi il vaccino si sono così espressi: Marameo (44,3 %), Vaccinati tua sorella (30,7%), Manco se mi paghi (14%), Vaffanculo (7,1 per cento, quasi tutti medici), mentre il 3,99 per cento è corso alla asl a farsi siringare.

Si dovrebbe considerare quest’ultima cifra come l’effettivo gradimento al governo e ai suoi terrorizzanti mass media. Per le grandi aziende farmaceutiche è stato un regalo prezioso, e se ne potrebbe trarre lezione per il tanto atteso rilancio economico. Tipo: se non compri una macchina entro marzo morirai tra atroci sofferenze.

Ora, questo paese caritatevole ed enormemente buono che è l’Italia ha deciso di regalare il 10 per cento delle dosi acquistate all’Oms, che dovrebbe girarle ai paesi poveri. Ma i poveri dei paesi poveri, pur di rompere i coglioni e di remare contro non si ammalano nemmeno loro di influenza A. Preferiscono morire di fame, o in mare cercando di venire qui, o bastonati dalla brava gente di Rosarno, o sparati dalla camorra a Castel Volturno. Noi non siamo un paese razzista, ma loro sono proprio delle merde.

Ora il sistema-Italia si trova con 23 milioni e 173.000 dosi di vaccino sul groppone, che scadono a dicembre 2010, tra 348 giorni. Per sfruttarle iniettandole tutte al ministro della sanità gli si dovrebbero fare 66.589 punture al giorno da oggi fino a Capodanno. Pensiamoci, perché no?

via | Alessandro Robecchi

Ricorso Multe al Giudice di Pace: da Gennaio 2010 sarà a pagamento

Novità nella Finanziaria del Governo che ‘non mette le mani nelle tasche degli italiani’.

Dopo l’eliminazione dell’Ici sulla prima casa e delle imposte di successioni, indistintamente, per tutti, dopo gli ennesimi condoni (scudo fiscale e suo prolungamento) ed altre cosette varie, ecco cos’altro ci attende.

20091218_multe[1] Avete ricevuto una multa ingiusta e volete ricorrere al giudice di pace? Dal 1° gennaio dovrete pagare. Se fino ad oggi la pratica era gratuita, dal 2010 costerà dai 38 euro in su. Lo prevede la Finanziaria. Così, se l’auto in divieto di sosta non era la vostra e il comune vuole da voi 48 euro, dovrete sborsarne quasi altrettanti per evitare la sanzione. Ed è probabile che vi passi la voglia di fare il ricorso. Comma 6 bis della Legge Finanziaria 2010, approvata ieri dalla Camera: il pagamento del contributo unificato introdotto dalla legge 115/2002 viene esteso alle cause in materia di lavoro, famiglia e sanzioni amministrative. Ciò significa che per opporre dinanzi al giudice di pace una multa per violazione del Codice della Strada, il cui importo medio è di circa 70, il ricorrente deve versare il contributo unificato minimo di 30 e la marca da 8 per il rimborso forfettario dei diritti di cancelleria: in tutto 38 per risparmiarne 70. Senza contare che tra le violazioni più diffuse protagoniste di multe “pazze” figura il parcheggio in divieto di sosta, la cui sanzione è di 48 euro. Due gli obiettivi della manovra: 1) recuperare in parte le spese che ogni ricorso comporta; 2) scoraggiare i potenziali ricorrenti e arginare i contenziosi: quelli registrati nel 2009 al solo giudice di pace di Roma sono stati più di 40mila. Ma non mancano gli effetti collaterali. In base all’articolo 203 del Codice, contro i verbali si può fare ricorso anche dinanzi al Prefetto, e senza pagare. E’ facile ipotizzare, dunque, che i ricorsi non diminuiranno, ma il flusso si sposterà dai giudici ai Prefetti, con la prevedibile conseguenza di mandare in tilt questi ultimi. Ancora: poiché, in base alla legge 689/81, contro i verbali si può ricorrere senza l’ausilio di un avvocato, chi agisce in prima persona non potrà richiedere il rimborso delle spese perché non iscritto all’albo forense. L’accoglimento del ricorso sarebbe allora una vittoria di Pirro: il cittadino verserà 38 per non pagare una multa ingiusta e non potrà nemmeno farseli dare indietro. «L’aumento delle spese di accesso alla giustizia – spiega l’avvocato romano Giuseppe Lorè, esperto in materia – comporta una contrazione del diritto alla difesa». Perché in molti, pur avendo ragione, non riterranno conveniente fare ricorso. La norma non piace nemmeno ai Giudici di pace, che ieri sono scesi in piazza a Roma: la legge, dicono, «non fa altro che appesantire i costi per il cittadino».

Marco Pasciuti

Per il governo è cultura il cinepanettone

“Natale a Beverly Hills” è un film di interesse culturale: il cinepanettone di Neri Parenti che sta invadendo le nostre sale natalizie è stato riconosciuto – dalla Commissione cinema del ministero con delibera dello scorso 4 dicembre – film di «interesse culturale».

Decisione da confermare, dopo la «visione della copia campione del film».

Se la commissione preposta all’erogazione dei finanziamenti pubblici al nostro cinema, confermerà tale decisione, la «gastroenterica» commedia della Filmauro di De Laurentiis potrà accedere non a contributi in denaro, ma a tutta una serie di agevolazioni, create per sostenere il cinema di qualità. Per esempio sgravi fiscali (tax credit), il riconoscimento di film d’essai, la possibilità per il distributore di accedere ad un fondo – questo sì in denaro – in relazione agli incassi.
«Si tratta di un precedente di una gravità estrema», dice Citto Maselli dell’Anac, la storica Associazione degli autori. «In questo modo, infatti, si permette ad un film, di legittimo e straordinario valore commerciale, di accedere a quei circuiti riservati, invece, ai film italiani ed europei di qualità che soffrono di una visibilità limitata». [
Lo sanno bene quegli esercenti eroici, resistenti alle lusinghe del cinema commerciale, che si battono per tenere aperte le loro piccole sale di provincia, programmando, appunto, cinema di qualità. Come Arrigo Tumelleri, per esempio, proprietario del Cinema Verdi di Candelo, paesino di 8mila anime in provincia di Biella, «sgomento» alla notizia del riconoscimento di «film culturale» per Natale a Beverly Hills. «Posso capire – dice – che un tale “bollino” sia dato, magari, ad una commedia d’esordio di Ficarra e Picone. Ma un film di Neri Parenti che incassa milioni perché dovrebbe ottenere certe agevolazioni?».
Nell’Italia del «ciarpame culturale», insomma può capitare anche questo. Come pure che, il «bollino doc» del ministero, venga rifiutato – è accaduto nella stessa sessione del 4 dicembre – ad un film che di «culturale» avrebbe tutti i crismi: Morire di soap di Antonietta De Lillo, la regista del pluripremiato Il resto di niente che qui propone una riflessione sul contemporaneo, stravolto dal soffocante potere televisivo. Troppo «culturale», evidentemente per i nostri tempi. Meglio le Winx che, infatti, hanno ottenuto il riconoscimento del ministero.
Ma alla base di certe scelte, diciamo così, surreali, c’è soprattutto un meccanismo di legge, per accedere ai finanziamenti pubblici, che fa acqua. Stiamo parlando, infatti, del «reference system» che fu introdotto, ai tempi, dal ministro Urbani. Per ottenere l’accesso ai fondi pubblici, infatti, bisogna avere già in tasca degli ottimi «voti». Tipo: premi, cast famoso, buoni incassi. Se la «pagella» vale si è idonei per accedere al denaro pubblico, che può essere anche il riconoscimento di interesse culturale, appunto, con o senza denari. In questo modo, va da sè, che un certo cinema meno allineato sulla «medietà» italiana ha più difficoltà. Ricordiamo, anni fa quando, parlando appunto di «reference system», suscitammo le ire del ministro Urbani chiedendo: ma non si richiesca in questo modo che il denaro pubblico, invece di aiutare il cinema d’autore, vada a finanziare i cinepanettoni? Ebbene ci siamo arrivati.

Il prossimo passo sarà Il Grande fratello sotto l’alto patrocinio del Capo dello Stato.

Gabriella Gallozzi

Ricordo Brunetta che esortava Bondi (ministro della cultura, sic!) a ‘chiudere i rubinetti’, le sovvenzioni, a spettacoli teatrali e cinema con l’accusa che sono egemonizzati dalla sinistra. Ora sì che abbiamo fatto un passo avanti.

Milena Gabanelli: «Io, pendolare e i ritardi del Frecciarossa»

La denuncia del Corriere («Se i pendolari che protestano hanno ragione») ha messo in evidenza il disagio di migliaia di viaggiatori alle prese con ritardi e disservizi dovuti ai nuovi orari dei treni e alla soppressione di alcune fermate intermedie. Molte le proteste, come abbiamo documentato, anche per i ritardi dei treni ad Alta velocità e sulle nuove regole dei rimborsi. E centinaia le mail dei lettori. Questo è il diario di viaggio di Milena Gabanelli (foto), conduttrice di Report, pendolare sulla navetta Bologna-Roma.

FRECCIA_b1[1] Mercoledì 16 dicembre: parto da Bolo­gna alle 8.47, arrivo previsto a Roma, 10.55. Tempo bello, cielo terso. L’impiega­to del Club Eurostar mi consegna il bigliet­to con una punta di orgoglio: «Ce l’abbia­mo fatta, adesso si va a Roma in due ore!». Per una pendolare fissa come me è una bella notizia. Il treno arriva con 10 minuti di ritardo, a Firenze ne ha già accumulati altri 20. Mi sie­do nel salottino vuoto perché devo fare mol­te telefonate e non voglio disturbare. Quan­do passa il controllore allungo i 10 euro di supplemento. «Da una settimana sono 20 euro» mi dice. Anche se me li rimborsa la Rai, 20 euro per un treno in ritardo non glie­li do; mi alzo e torno a sedermi al mio posto sulla carrozza 3. Arrivo a Termini con 35 minuti di ritar­do. Mi infilo al Club Eurostar per chiedere il rimborso. Una signora guarda il biglietto e dice: «Ripassi fra 20 giorni, perché deve essere lavorato». Lavorato? «Si», dice «adesso c’è tutta un’altra procedura». Imbufalita vado a prendere il taxi.
Due giorni dopo sono di nuovo lì, in anticipo sulla partenza e con il tempo a disposizione per capire meglio questa storia del rimborso. Tre persone in fila e un solo sportello aperto. Dal nulla compare una mastina che sbarra la strada a quei pochi passeggeri che varcano la porta automatica del club, e gli chiede di esibire la tessera associativa. A lei domando informazioni sul bonus, ma non sa nulla, è lì solo per impedire l’ingresso agli abusivi. Quando è il mio turno l’impiegata mi dice che, dal 13 dicembre, con 35 minuti di ritardo non si ha più diritto al 50% di rimborso, «sta scritto nel regolamento europeo al quale abbiamo dovuto adeguarci» e mi allunga un malloppo di 40 pagine. Lo sfoglio, trovo il riferimento al rimbor­so in caso di ritardi, ma non ci sono indica­zioni specifiche. Mi indigno, arriva un’altra impiegata, guarda anche lei, e poi scompa­re dentro un ufficio a consultare internet. Alla fine il mio treno parte e ne so come pri­ma. Le carrozze sono piene, ma i salottini viaggiano vuoti. Chiacchiero con il capotreno che mi dice «è stato fatto un gran can can per andare sui giornali e in televisione a dire che si accor­ciano i tempi, ma la Firenze Bologna non si riesce a fare in mezz’ora, in pratica ci vuole ancora lo stesso tempo di prima e il rimbor­so del 50% del biglietto te lo danno solo con 2 ore di ritardo». E in effetti quando scendo a Bologna il tempo di percorrenza è sempre di 2 ore e 40. Il capotreno mi saluta e sussur­ra «i 37 chilometri di tunnel, sa, sono un problema». Quel tunnel lo percorrerò tutte le settimane, penso, mentre vado verso casa con in mano un gianduiotto gentilmente of­ferto dal personale di bordo, è in carta argen­tata con scritto «frecciarossa».
Epilogo: le ferrovie spagnole rimborsa­no il 50% del biglietto AV per ritardi supe­riori ai 15 minuti e il 100% sopra i 30 minu­ti. Francia e Germania il 25% dai 60 ai 119 minuti, il 50% se si superano le due ore. Quindi Trenitalia si è adeguata alle condi­zioni dei due paesi europei noti per la pun­tualità dei loro treni. Poco puntuale è inve­ce anche il sito di Trenitalia dove nell’area clienti, all’indice «bonus previsti» trovi scritto: «Se il treno AV, AV Fast, ES su cui si viaggia porta più di 25 minuti di ritardo hai diritto al 50% del prezzo pagato». Buon Natale, ingegner Moretti.

Milena Gabanelli
20 dicembre 2009

Allarme cellulari

Tumori rari. Piccoli numeri, dunque. Ma il collegamento tra l’insorgenza di tumori cerebrali e uso dei cellulari c’è. A lanciare l’allarme sono decine di ricercatori, medici, esperti di salute pubblica, fisici di 12 Stati europei e nordamericani, tutti indipendenti e tutti convinti nel firmare il documento ‘Cellulari e tumori cerebrali: 15 motivi per essere preoccupati’ (www.radiationresearch.org/). Che anticipa le conclusioni del grande studio Interphone, condotto in 13 Paesi, Italia compresa, sul quale sono stati investiti 30 milioni di euro e che dovrebbe essere reso noto entro dicembre.

Il panel passa in rassegna tutti gli studi fatti sull’argomento negli ultimi anni, fa la tara a quelli ottimisti sponsorizzati dalle aziende e a quelli pessimisti. Calibra e rilegge tutti i dati, che sono una marea. E conclude che l’aumento del numero di casi di cancro cerebrale collegato all’utilizzo estensivo del cellulare, per quanto piccolo, c’è e si può misurare: per ogni cento ore di uso del telefono il rischio di neoplasie del cervello crescerebbe del 5 per cento. Quando l’uso è estensivo gli scienziati calcolano che l’incidenza del tumore potrebbe crescere per ogni anno dell’8 per cento; per ogni decennio del 280 per cento; e se l’impiego è iniziato nell’adolescenza sale addirittura del 420 per cento. E questo accade perché i campi magnetici agiscono sul Dna. Inoltre indebolirebbero la barriera esistente tra cervello e circolo sanguigno, e danneggerebbero la fertilità maschile.
L’8 per cento l’anno sarebbe un’enormità se lo applicassimo ai big killer (tumori del seno, del colon, del polmone che colpiscono decine di migliaia di persone). Faccenda diversa se si parla di cancri rari: in Italia, nel loro insieme, i tumori cerebrali colpiscono 10 italiani su 100 mila all’anno (circa 15 mila persone, per lo più sotto i trent’anni). Le forme più collegate ai cellulari sono il glioma, che rappresenta quasi la metà dei casi, circa 7 mila nuovi malati l’anno; il meningioma, il 15 per cento, circa 2 mila nuovi malati l’anno; e il tumore del nervo acustico l’8 per cento del totale. Va detto, però, che tra il 1986 e il 2005 si è avuto un aumento dei casi dello 0,5 per 100 mila abitanti tra gli uomini e dello 0,9 per cento tra le donne.
Queste le opinioni del super panel indipendente alle quali il grande e costoso Interphone non potrà aggiungere granché. Anche perché, nell’attesa, sono fioccate critiche e maldicenze. A partire dalla constatazione che Interphone, pur essendo sponsorizzato dall’Oms, è in gran parte finanziato da industrie. E che nessuno capisce perché dallo studio siano stati esclusi i bambini, considerati da tutte le autorità sanitarie del mondo i soggetti più vulnerabili.

Telefonini: dieci regole salva salute

Ecco le proposte degli scienziati per minimizzare i rischi

Quando si telefona meglio evitare di accostare alla testa un telefono del tutto senza fili (tipo bluetooth); si deve quindi preferire, ogni volta che si può, un telefono con base fissa e collegata a un filo, oppure il viva voce.

Il cellulare va tenuto il più possibile lontano dal corpo e quindi non in tasca; se non se ne può fare a meno, meglio acquistare una custodia schermante (ve ne sono diverse in commercio)

Limitare al massimo l’uso sui mezzi di trasporto, in aree rurali o comunque lontane dalle antenne: la ricerca del segnale richiede una dose maggiore di radiazioni.

Cercare di lasciare spento il cellulare fino a quando non si ha necessità di comunicare.

 

Preferire il telefono fisso al cellulare.

 

Evitare di usare il cellulare dentro agli edifici, soprattutto se costruiti con molto acciaio.

 

L’uso del cellulare prima dei 18 anni è sconsigliato. La Francia ha annunciato una legge che lo vieta al di sotto dei 12; il Canada ha dichiarato che i bambini al di sotto degli otto anni devono usarlo solo in caso di emergenza e che i teenagers devono parlare al massimo dieci minuti per volta e Israele ha fatto campagne simili. La Finlandia ha emanato precauzioni severe per i bambini: incoraggiare l’uso degli sms, controllare la durata delle conversazioni, limitare l?uso dei dispositivi wireless.

Non permettere al proprio figlio di dormire con il cellulare sotto il cuscino o comunque vicino al letto.

Richiedere prove scientifiche sulla sicurezza dei nuovi dispositivi wireless prima di concedere l’introduzione in commercio e obbligare i produttori a porre indicazioni chiare sulle confezioni.

Applicare il principio di precauzione per ridurre il rischio personale e, soprattutto, proteggere bambini e adolescenti.

via | Allarme cellulari

Bevete più latte, il latte fa bene

Per arrivare a mezzogiorno senza dover cedere a uno spuntino a metà mattina, magari calorico e poco salutare, basta bere una bella tazza di latte a colazione. Secondo uno studio pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition il latte (anche quello scremato o parzialmente scremato), è molto saziante e consente addirittura di dare un taglio alle calorie del pranzo.

Nella ricerca sono stati coinvolti 34 uomini e donne sani ma in sovrappeso, sottoposti a due diversi tipi di colazione: la prima prevedeva il consumo di circa 500 grammi di latte scremato, la seconda la stessa quantità di succo di frutta per un totale di circa 250 calorie. Nelle 4 ore successive ai partecipanti veniva chiesto di valutare il loro grado di sazietà ed era concesso loro di fare spuntini per sentirsi bene, senza avvertire la fame. Chi aveva bevuto il latte si sentiva sazio più a lungo, stando ai risultati, e mangiava anche di meno a pranzo: in media il 9 per cento di cibo in meno, per una riduzione di circa 50 calorie rispetto a chi aveva bevuto il succo di frutta.

Secondo gli autori il merito è delle proteine del latte: una tazza apporta anche il 16 per cento della razione giornaliera raccomandata. In alternativa, può darsi che aiuti la presenza di lattosio o semplicemente la corposità della bevanda, di certo maggiore di quella di un succo di frutta. «Il merito è anche del sapore: il latte è molto gustoso, e ciò serve ad accentuare il senso di sazietà che questo alimento indubbiamente regala – aggiunge Carlo Cannella, presidente dell’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione –. Io consiglierei il latte di alta qualità: il gusto è maggiore, e quindi “riempie” ancor di più degli altri tipi di latte». Sentirsi la pancia piena non è secondario: «Scegliere cibi sazianti è un passo importante per garantire il successo di una dieta dimagrante o di mantenimento – scrivono gli autori dello studio australiano –. A volte bastano piccoli accorgimenti per ottenere grandi risultati: una riduzione di appena 50 calorie a pranzo, come quella che abbiamo verificato fra chi beveva il latte a colazione, a lungo andare riesce a fare la differenza. Basta un eccesso di meno di 100 calorie al giorno per ritrovarsi con un chilo in più nel giro di un anno».

via | Una tazza di latte sazia fino a pranzo

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