Nei comuni italiani è scoppiato il boom delle fonti energetiche pulite: sono quasi seimila quelli che dispongono di almeno un impianto di energia rinnovabile. Un boom che mostra notevoli potenzialità a livello occupazionale. Secondo i dati del rapporto “Comuni rinnovabili” di Legambiente l’indotto economico potrebbe produrre fino a 250mila nuovi posti di lavoro.
Nel dettaglio le stime parlano di 65mila occupati entro il 2020 e altrettanti nel solare termico, nel fotovoltaico, nelle biomasse. Secondo Legambiente si deve puntare su due aspetti: l’integrazione delle fonti rinnovabili dell’edilizia con la certificazione energetica e la semplificazione della troppa burocrazia che rallenta lo sviluppo delle fonti pulite. Fin qui le buone notizie.
Adesso questo governo (?) infischiandosene dell’esito di un referendum popolare e senza riconsultare la popolazione, ha deciso che bisogna ritornare al nucleare.
Da governatori regionali e sindaci delle zone candidate a ospitare una centrale arriva subito un coro: no a una centrale sul mio territorio.
Il governatore del Lazio, Piero Marrazzo: «Nei rapporti con il governo nazionale abbiamo bisogno di interventi oggi, di non disperdere le risorse in progetti futuribili e che arriveranno a tempo scaduto, di rincorsa a un nucleare, magari con tecnologie obsolete e magari collocate in aree del nostro territorio che già soffrono di un’elevatissima concentrazione di strutture di produzione energetica».
«Personalmente sono contrario a una centrale nucleare nella mia regione, ma il mio mandato scade nel 2010 e la decisione toccherà a chi verrà dopo di me», ha detto Claudio Martini, presidente della Regione Toscana.
«Non vogliamo il nucleare in Piemonte», ha tagliato corto la presidente della regione Mercedes Bresso, ricordando che il Piemonte ha scelto di puntare sulle energie rinnovabili, investendo 300 milioni di euro fino al 2013.
«La Puglia si presenta come territorio off limits per qualunque ipotesi di centrale nucleare», ha sottolineato convinto il presidente della regione Puglia, Nichi Vendola, che definisce l’accordo «sciagurato», anche perché non tiene conto della realtà del territorio italiano, «una striscia allungata e densamente popolata, un Paese la cui antropizzazione è così capillare che è difficile immaginare il ritorno a cicli industriali affetti da gigantismo e con problemi di gestione dell’emergenza praticamente insolubili».
Il ritorno all’energia nucleare, secondo l’assessore altoatesino all’energia, Michl Laimer, «è una strada completamente errata che comporterebbe problemi e rischi. Il governo dovrebbe invece puntare sempre più sul risparmio e l’efficienza energetici e sulle fonti rinnovabili di energia».
Prima di fare proclami, Silvio, Scajola, Ronchi (quello che ha detto che vorrebbe una centrale proprio sotto casa sua, ma a piazza dei re di Roma mi pare un pò difficile) e soci, dovrebbero informarci.
Dove vogliono mettere le centrali nucleari?
Che senso ha, in un periodo in cui l’emergenza energetica si aggrava di mese in mese, immaginare un contributo nucleare che sarebbe attivo solo nel 2020? Se volessimo fare qualcosa per migliorare la qualità dell’aria, l’energia nucleare non sarebbe né la via più breve né la più efficace, pur non emettendo anidride carbonica. Per quest’ultima il vantaggio che si otterrebbe dall’efficienza e dal risparmio energetico è sempre superiore di quello ottenuto dalla produzione di elettricità per via nucleare. E costruire nuovi impianti costa sempre di più che investire in efficienza. Oltretutto l’uranio è una fonte destinata ad esaurirsi come gli idrocarburi.
Come fa l’energia così prodotta ad essere a buon mercato, quando l’installazione di una centrale nucleare (che costa circa 4 miliardi di euro) è operazione industriale costosa e lunga, anche perché deve comprendere fin dall’inizio lo smantellamento che costa quasi il doppio della costruzione? Chi pagherà il conto? Le nostre bollette?
Del resto, se il nucleare fosse davvero conveniente perchè al mondo copre solo il 6,5% dell’intero fabbisogno di energia primaria? Perchè è stato utilizzato solamente dove le economie potevano permettersi l’investimento (Stati Uniti e Giappone posseggono, da soli, quasi la metà dei reattori oggi in funzione) o dove era forte l’intervento statale (Francia e Paesi dell’ex-blocco sovietico)?
Come fa notare il geologo Mario Tozzi, “non vengono considerati i costi sociali e ambientali occulti (le esternalità, esistenti anche per le altre fonti non rinnovabili) che qualcuno prima o poi dovrà mettere in conto, e che non sono a tutt’oggi noti per il semplice fatto che la verifica del costo effettivo potrà avvenire solo quando le scorie e le mura della prima centrale saranno ormai inoffensive, cioè, a occhio e croce, fra qualche decina di migliaia di anni. Dunque nessuno può sapere quanto costa in realtà l’energia nucleare, perché il ciclo non si chiude praticamente mai. E infine l’ultimo problema: non esiste ancora al mondo nemmeno un sito definitivo di stoccaggio delle scorie radioattive“.
(vignette di Vauro)
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