Umorismo (?) di Google Maps

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Ascanio Celestini: ‘I politici vivono in una realtà piena di privilegi’

Il "cantastorie" finito nel mirino per il suo monologo sul premier
"La mia finalità non è far ridere. Non lo è mai stata. Non sono un comico, narro storie. Sul piccolo Paese e sul partito dei mafiosi mi ero già speso. Chi mi attacca è disattento, pensi che in 4 o 5 racconti sul tema, il piccolo presidente muore anche. E’ abbastanza semplice pensare all’Italia o a Berlusconi, ma in realtà io non immagino quei personaggi. Non li nomino mai. A me interessa parlare del potere in sé. Che poi Berlusconi e Fini recitino una parte, che l’opposizione sia quasi completamente assente e molti ambiti della Nazione conoscano la deriva, fa parte dei meccanismi del dominio".

Nonno carrettiere, nonna contadina. Padre restauratore, madre parrucchiera. Da sempre, Ascanio Celestini naviga felicemente dalla parte di un umile torto. L’aggressione al monologo inscenato da Serena Dandini, lo lascia indifferente. E’ sabato. Festa in famiglia. Moglie, figlia, normalità.

Celestini, l’apologo morale su Tony corrotto e Tony mafioso, ha fatto arrabbiare Berlusconi.
Bersani, Fini, D’Alema, Berlusconi. Figure che non mi interessano. Fanno parte tutti di uno stesso copione. Zavattini consigliava agli sceneggiatori di prendere l’autobus per raccontare una storia, se stai nell’auto blu è chiaro che la tua unica preoccupazione sia aumentare lo stipendio di chi ti è vicino.

Sembravano furibondi.
Io credo che loro si stupiscano sinceramente quando qualcuno mette in discussione i loro privilegi perchè non li considerano più neanche tali. Bisognerebbe rovesciare la loro vita completamente, con questo non sostengo che D’Alema non debba più andare in barca, ma forse un tram ogni tanto lo dovrebbe prendere.

La politica si indigna perché è lontana dalla realtà?
Prenda il caso Atesia, nonostante fosse un laboratorio di precarietà a cielo aperto e il più grande call center italiano, ha conosciuto solo indifferenza. Nessuno ha voluto metterci le mani. Non la politica, né i sindacati. Si sono affacciati soltanto quelli di base, persone normali considerate folli. Atesia è sulla Tuscolana. Scajola abita al Colosseo. Cosa vuole che gli freghi del destino di quelle persone?

Lei ha un’estrazione popolare.
Ma non è necessario avere natali umili per calarsi nella realtà. Prenda la Resistenza. Molto ho imparato dalla lotta partigiana. Dall’incontro con persone di buona famiglia come Carla Capponi o Mario Fiorentini che abitavano a Roma, in pieno centro. Fiorentini, che parlava francese con la sua compagna che era alsaziana, a un certo si trovò armato nella periferia di Roma a Centocelle o al Mandrione.

Uno choc.
Scoprirono all’improvviso l’esistenza del popolo. I nostri politici a un incontro che disveli un ambito diverso, non pensano proprio. Quelli più informati conoscono i dati, qualcuno di sinistra in periferia è andato a raccogliere i voti. Ma in verità non sanno nulla. Hanno mai fatto i precari da Ikea? Hanno mai sudato da Mc Donald?

Perchè Mc Donald?
Una mia amica che ci lavorava mi spiegava: ‘Io devo fare sorrisi differenti a persone diverse. Bambini, anziani, immigrati. Me lo chiede il mio direttore?’ Capisce come siamo messi?

Balliamo sul Titanic?
Il vero rischio è che non ti ascolti nessuno. Puoi dire quello che vuoi, tanto domani si parla di altro. Si discute solo di ciò che è in agenda. Ma chi la gestisce, inevitabilmente decide tutto. Dei favori fatti a Scajola o delle inclinazioni personali di Marrazzo, mi importa zero. Io voglio sapere come procede la questione del nucleare. I problemi del Lazio sono la discarica di Malagrotta, l’areoporto di Ciampino, chiuso nel ’60 perchè non reggeva un milione di presenze e poi riaperto, fino ai sette milioni di oggi. Non sono troppe? Ad Albano costruiscono un inceneritore e non hanno l’acqua potabile.

E i mezzi di comunicazione?
Di alcuni politici si dice che sono comunicatori. No, sono solo ruffiani. Comunicare quando uno parla e l’altra ascolta per decenni non è comunicazione. Neanche dittatura che sarebbe una banalità ma quando per 40 anni ascolti e basta, dire la tua non è più un’opzione percorribile.

Se li tratta così, ne rade al suolo la vanità.
E’ sproporzionata ma è per questo che diventano interessanti, Si avvicinano ai prototipi del Re Sole. Di loro, paradossalmente abbiamo anche bisogno. Senza Re Sole non avremmo avuto la rivoluzione francese, nè parlato di eguaglianza, libertà o fratellanza. Li dobbiamo pure ringraziare. Però quando vivi l’arroganza del potere nel tuo paese in modo così smaccato, fa impressione. Si tranquillizzino. In fondo, facciamo solo letteratura.

Per appianare i conflitti, si parla di anniversari. L’Unità d’Italia, ad esempio.
A Berlusconi è scappata la mano. Ha voluto elogiare i 150 anni della Repubblica. Sono gaffes inoffensive che però illuminano sulla reale conoscenza della storia. L’Italia è un paese molto particolare. Abbiamo avuto 150 anni di lotta armata, ma oggi ci presentano un quadretto comico: Mazzini, Cavour, Vittorio Emanuele e Garibaldi. Quattro persone che non sono mai state sedute insieme a un tavolo. Mazzini è morto da terrorista e in clandestinità.Una rivoluzione? Ma figurarsi, per quella ci vuole consapevolezza. Noi al massimo possiamo fare la guerra civile.

Il berlusconismo è un ventennio in minore?
Enzensberger diceva che ai ai tempi della seconda guerra mondiale non credeva di vivere in quell’epoca. Non dobbiamo cambiare Berlusconi, ma il nostro modo di fare le cose. Tra 30 o tra 300 anni, forse diranno che il decennio che stiamo vivendo in fondo ce lo siamo cercati. Non credo che il paese sia stato sequestrato da qualcuno, ma abbandonato da qualcun altro.

Cosa ci ha fregati?
Il benessere. Acqua calda, frigoriferi, frullatori. Prenda la tv. E’ fascista per definizione. Mi fanno ridere quelli che dicono: ‘ho buttato la televisione’ senza capire che hanno gettato solo un oggetto. Per risalire dovremmo fare una seria analisi del nostro nazismo quotidiano. Abbiamo fatto finta che i treni per Auschwitz non passassero più, ma invece quelli camminano tutti i giorni. Passano nelle scarpe fatte da un bambino a un euro in India, attraverso il cibo che mangiamo. Ci hanno messo la lavatrice, spostato le tante Auschwitz contemporanee dall’altra parte del mondo e alla fine, stringendo, ci hanno bloccato. Chi è che vuole fare la rivoluzione se ha la possibilità di farsi una doccia?

Da il Fatto Quotidiano del 9 maggio

L’uomo che sposò la sua sagoma

20100503_cineset[1] Un vero e proprio matrimonio, con tutti i riti della tradizione’, solo che la sposa non era affatto una sposa, ma un cartonato a grandezza naturale con le sembianze dello sposo, il 39enne Liu Ye, che ha sposato "se stesso" nella piazza del villaggio Guanzhou, in Cina. L’uomo, che si è dichiarato "leggermente narcisista", ha detto ai cronisti locali: "Sposare me stesso è un modo per distruggermi e ricostruirmi. Mi sono sposato per la mia insoddisfazione nei confronti della vita".

fonte: Leggo.it

Tutti in fila dal benzinaio meno caro d’Italia

Nessuno, nel luglio scorso, si era accorto che qui, sulla statale 53, era scoppiata una guerra. "Abbiamo aperto le nostre pompe low cost – racconta Roberto Simili, direttore dell’Iper la Grande I – per fare un favore ai clienti che magari facevano trenta chilometri per fare la spesa da noi. Con lo sconto sulla benzina, in pratica rimborsavamo il viaggio. E invece è successo un "disastro". Code dal mattino alla notte e noi che facevamo i vigili in strada per evitare il blocco della statale". Weekend del Primo Maggio, tredici milioni sulle strade, annunciano alla radio. Il distributore dell’Iper è il meno caro d’Italia e in giorni come questi vende più di ottantamila litri. Dieci pompe self service e decine di macchine in fila dietro ogni pompa. Chi non vuole aspettare, dovrà arrivare dopo mezzanotte.

La guerra della benzina conta già le prime vittime. Il distributore Agip all’ingresso di Castelfranco è chiuso, come quello della Total a mezzo chilometro dall’Iper. Negli altri distributori l’arrivo di qualche auto è un evento. "Il Veneto – dicono Moreno Parin e Stefano Finotto, benzinai e dirigenti del Gisc, Gestori impianti stradali carburanti – è un’anteprima di ciò che succederà presto in tutto il Paese. Le pompe "bianche", quelle che non hanno un marchio, sono il 10% del totale ma vendono già il 30% dei carburanti. Noi benzinai, a causa della crisi economica e dei prezzi alti, guadagniamo il 70% in meno rispetto a dieci anni fa. E’ solo l’inizio di una crisi che porterà alla chiusura di migliaia di impianti. Gli automobilisti se ne accorgeranno quando, per fare il pieno, dovranno fare trenta chilometri, come già succede in Francia".

Le Sette sorelle, per un po’, sono rimaste a guardare. Ma i distributori low cost sono riusciti a dare un primo colpo al loro potere. "A Castelfranco e dintorni – raccontano i dirigenti del Gisc – la Esso ha calato i prezzi di 7 centesimi, la Ip di 3, la Erg di 6. Le compagnie fanno gli sconti se nel raggio di trenta chilometri ci sono pompe bianche. Ma sono le stesse che poi vendono la benzina e il gasolio ai low cost a prezzi che noi nemmeno ci sogniamo. Come gestori abbiamo i distributori in comodato gratuito ma siamo obbligati a comprare il carburante dalla compagnia proprietaria. Acquisto in esclusiva e il margine concesso è di 4 centesimi lordi. Due se ne vanno per le spese dell’impianto, e gli altri due sono tassati. Le pompe bianche, dalle stesse compagnie, ottengono invece sconti di 15 – 20 centesimi".

I ribelli che non vogliono più la benzina con il marchio sono un popolo contento. "Su 50 euro – dice Sabina S. – ne risparmio, secondo i giorni, fra i 6 e gli 8. Trovare uno sconto, oggi, è un’impresa rara che dà soddisfazione". Il tabellone annuncia i prezzi: euro 1,270 la verde, 1,125 il gasolio. Secondo il sito Prezzibenzina. it nei self service Agip ed Esso la benzina costa 1,38, all’Api 1,39 e all’Ip 1,41. C’è il camionista che carica 312 litri di gasolio, c’è l’anziano con la Panda che infila nella macchinetta solo 10 euro. "Tanto abito qui vicino". "Si vedono arrivare – dice il direttore dell’Iper – anche Ferrari e Porsche. Nei primi giorni, vedendo i prezzi bassi – a luglio la benzina costava meno di 1 euro – c’era chi non si fidava e metteva appena 5 euro. Adesso la media è di trenta euro e tutti sono bravissimi ad usare il self service. I benzinai qui attorno hanno fatto manifestazioni, sono venuti anche qui nell’impianto ma non c’è stato nessun problema. Per protesta, lavavano i vetri ai nostri clienti. Ce l’avevano con le compagnie che vendevano a noi a prezzi troppo bassi. Ma io devo convincere gli automobilisti a venire alle nostre pompe e così ogni lunedì mando una ragazza nei paesi qui intorno, per un raggio di trenta chilometri, a rilevare i prezzi degli altri. E abbasso i miei".

Il benzinaio – imprenditore diventerà un ricordo. La Vianello Sas di Mestre, ad esempio, ha trasformato 15 distributori (prima marchio Total e Agip) in pompe bianche con il nome Vega e i gestori sono stati messi a busta paga. "Non sono dipendenti – dice Elisabetta Vianello – ma collaboratori & imprenditori. Hanno libertà di impresa per il lavaggio, il bar, i ricambi… Per la parte carburanti le scelte sono invece decise soltanto da noi". "Ho fatto i conti con un amico che era un gestore Vianello – dice Stefano Finotto – e abbiamo scoperto che come "prestatore d’opera" avrebbe guadagnato 1.250 euro al mese, contro i 1.400 di un suo dipendente. Ha cambiato mestiere. Le pompe bianche non ci spaventano, ma vogliamo combattere ad armi pari. I contratti di acquisto in esclusiva sono forche caudine. La nostra proposta è chiara: basta con il comodato e paghiamo l’affitto degli impianti alle compagnie. Ma la benzina poi la compriamo dove vogliamo noi. Possiamo organizzarci e comprare la nave cisterna di benzina raffinata. Non crediamo che la Grande distribuzione metta le pompe solo per rimborsare i clienti. L’Auchan ad esempio ha preso in affitto 370 impianti della Tamoil. In Francia il 70% della benzina è in mano alla grande distribuzione. Il risultato? Appena conquistato il mercato, hanno alzato i prezzi".

fonte: Repubblica

Frutta e verdura: dove comprarla?

La ricerca del punto vendita giusto, che concili freschezza e qualità dei prodotti con prezzi bassi, è spesso un terno al lotto. Se è vero che quasi il 50% di frutta e verdura viene acquistata nei supermercati e ipermercati, insieme al resto della spesa, la classica bancarella di frutta e verdure nei mercati rionali non accenna ad andare in archivio, essendo frequentata mediamente una volta al mese.

Ci siamo mescolati alle persone che fanno acquisti al mercato per capire come scelgono la frutta e la verdura. I consigli della nostra esperta su come riconoscere i prodotti di qualità.

L’inchiesta che abbiamo condotto comprando e analizzando chili di frutta e verdura (arance, banane, finocchi e pomodori) in quattro città italiane, ha proprio lo scopo di verificare com’è la qualità della frutta e della verdura sia nelle diverse realtà cittadine, sia nei differenti canali di vendita. Ma, poiché bisogna sempre tenere d’occhio il portafoglio, abbiamo fatto per la prima volta anche una valutazione del rapporto qualità-prezzo.

In sintesi:

    * la qualità generale dell’ortofrutta è medio-buona;
    * non ci sono differenze di qualità tra le quattro città dell’inchiesta;
    * ci sono, invece, notevoli differenze di prezzo: Milano è sempre la città più cara di tutte;
    * la qualità migliore è stata riscontrata nei mercati rionali e dai fruttivendoli. Questo primato è molto evidente per Milano, mentre a Roma si compra bene anche nella grande distribuzione e nei discount;
    * la capitale batte il capoluogo lombardo per il miglior rapporto qualità-prezzo;
    * i discount dimostrano non solo un’attenzione particolare al prezzo basso, ma anche alla qualità, quasi sempre allineata a quella degli altri negozi;
    * i prodotti bio hanno un prezzo troppo elevato rispetto alla qualità.

fonte: Altroconsumo

Fisco: il 27% dei contribuenti dichiara imposta netta uguale a zero

Il 27% dei contribuenti italiani ha denunciato nella dichiarazione dei redditi 2008 un’imposta netta pari a zero. Lo rileva il dipartimento delle finanze del ministero dell’Economia. L’imposta netta risulta pari a zero sia per effetto del basso reddito del dichiarante che per le deduzioni e detrazioni fiscali. A queste cifre andrebbero aggiunti i 30 miliardi di euro di redditi non dichiarati nel 2009, secondo i dati forniti dalla Guardia di Finanza lo scorso 18 dicembre.

CONTRIBUENTI – Nel 2008 c’è stato un aumento del 2,2% delle persone fisiche che hanno effettuato la dichiarazione, arrivando al numero di 41.663.000. L’aumento del reddito complessivo del 2007 (anno fiscale al quale si riferiscono le dichiarazioni del 2008) è stato del 4,2%, pari a 772 miliardi di euro. L’imposta netta dichiarata è ammontata a 142,4 miliardi di euro. Quindi l’evasione (nel 2009) ammonterebbe a circa il 21%. Ma degli oltre 41 milioni di contribuenti, a pagare materialmente le tasse al fisco sono risultati solo circa 30,5 milioni di contribuenti, poiché il 27%, come si è detto, ha dichiarato imposta netta zero. L’incidenza media dell’imposta netta sul reddito complessivo resta invariata nel periodo d’imposta 2007 al 18,4%. L’importo medio pro capite è pari a 4.670 euro. Rispetto al 2006 il reddito complessivo medio (pari a 18.661 euro) è aumentato su base nazionale dell’1,9%, con un incremento minimo nelle isole e massimo nelle regioni del nord-est.

DISTRIBUZIONE – In relazione alla distribuzione del reddito dichiarato, la metà dei contribuenti non supera i 15 mila euro; più in generale, il 91% dei contribuenti dichiara redditi non superiori a 35 mila euro e poco meno dell’1% dei contribuenti dichiara redditi superiori a 100 mila euro annui. Il 52% dell’imposta è pagata dal 12% dei contribuenti con redditi oltre i 35 mila euro. L’analisi degli indici della progressività dell’imposta mostra un lieve aumento dell’effetto redistributivo dell’Irpef tra l’anno d’imposta 2006 e il 2007.

SOCIETÀ – Le società con imposta netta positiva ha raggiunto il 52,6% del totale (circa 526 mila), prosegue il dipartimento delle finanze del ministero dell’Economia. Il che significa che quasi una società su due risulta in perdita. Nel 2007 le dichiarazioni delle società di capitali hanno raggiunto il milione di unità, con un aumento di circa il 4,1% sul 2006. L’85% sono srl e due terzi di esse hanno una dimensione limitata, con componenti positivi Irap minori di 500 mila euro. Le società con reddito positivo sono localizzate soprattutto nel Nord. Lo 0,8% delle società dichiara il 58% dell’imposta e il 53% delle società minori (fino a 500 mila euro di componenti positivi Irap) dichiara solo il 5,3% dell’imposta.

IVA – I contribuenti che hanno presentato la dichiarazione Iva per il periodo d’imposta 2007 sono 5.700.033 con un decremento dell’1% rispetto al periodo d’imposta precedente. Il calo è principalmente dovuto alla mancata presentazione della dichiarazione da parte dei soggetti aderenti al nuovo «regime di franchigia» e della maggiore utilizzazione del «regime di esonero per agricoltori», per effetto di una attenuazione dei limiti di accesso. L’81% dei contribuenti Iva ha un volume d’affari fino a 185.920 euro, ma paga solo il 9% dell’Iva incassata dallo Stato.

via | Corriere.it

E il cinepattone diventa film di pregio artistico

Leggevo questo editoriale di Travaglio e subito mi son venute in mente le invettive di Brunetta contro i finanziamenti pubblici ai film di registri ‘intellettuali di sinistra’, con annesso invito al ministro (!!) della cultura Bondi a ‘chiudere i rubinetti’…

Il guaio è che a raccontare quest’Italia ridicola agli italiani sono (siamo) i giornalisti italiani, troppo immersi in quest’Italia ridicola per riuscire ad accorgersi (ci) di quanto è ridicola. Non è un caso se, a notarlo, sono quelli stranieri i quali, oltre a non dipendere da Berlusconi, hanno pure il vantaggio di non essere italiani. Dunque guardano l’Italia con qualche palmo di distacco. Perciò considerano Mr B. una via di mezzo fra un caso comico e un caso clinico.

Ora ferve il dibattito sul cinepanettone “Natale a Beverly Hills”, finanziato dal ministero della Cultura per il suo particolare pregio artistico, anzi “d’essai”. Infatti narra le gesta di Aliprando Delle Fregna e di Rocco Passera in un sottile gioco di chiaroscuri, di dire-non dire. E tutti a scandalizzarsi per i fondi pubblici, anziché per la faccia del ministro che li eroga. Ma l’avete presente Bondi? È quello che si crede un poeta, avendo sciolto un carme a Fabrizio Cicchitto e per restare in tema, sull’ultimo numero di Vanity Fair, un’ode a Grispi e Casper, i suoi due cani: “Vi accontentate di sbadate carezze / I vostri occhi pregano per noi”. Da pelle d’oca.

Imbarazzato lui stesso per i contributi ministeriali Christian De Sica rilascia una pensosa intervista al Corriere (ormai specializzato nel genere: Pigi Battista ha appena intervistato Checco Zalone, forse per non dover parlare del segreto di Stato sugli spionaggi illegali del Sismi). E lì si avventura in blasfemi paragoni con i film di suo padre e in spericolate analisi sociologiche sul cinepanettone “specchio dell’Italia di oggi”. L’Italia di oggi, per quanto malmessa, è molto meglio di quella che esce dai film di De Sica. Ma chi corre a vederli lo fa con lo stesso spirito con cui guarda il Grande Fratello e assiste ai dibattiti in Parlamento e a Porta a Porta: per consolarsi alla vista di qualcuno peggiore di lui.

Ora si lavora alacremente alla sceneggiatura del prossimo cinepanettone, “Natale ad Arcor Hills”, che andrà in onda a schermi e teleschermi unificati.

Scena I, interno notte: un anziano latrin lover brianzolo con testa bitumata e accappatoio bianco si fa recapitare a domicilio ponti aerei di escort, veline, meteorine e aspiranti soubrettes minorenni che lo chiamano Papi, ricompensate con farfalline d’oro tempestate di brillanti, ministeri, seggi parlamentari e candidature alle elezioni europee e comunali.

Scena II: l’attempato gagà intona l’inno del suo partito, “Meno male che Silvio c’è”, accompagnato alla chitarra da Apicella, poi allieta la compagnia con vari lungometraggi sui suoi colloqui con l’amico Bush e l’amico Putin, tentando poi di finirla con alcune storielle sconce già scartate da Neri Parenti perché troppo volgari e da Alvaro Vitali perché troppo vecchie.

Scena III: le rare fanciulle sopravvissute al cineforum con barzelletta vengono ammesse all’esclusiva visita guidata nei bagni presidenziali e/o nel lettone di Putin.

Scena IV: il pover’ uomo, giudicato molto malato anche dalla moglie Veronica, dall’ex presidente Ciampi e da plotoni di psichiatri, incontra in piazza Duomo un collega psicolabile che lo centra con un souvenir. Il classico regolamento di conti.

Scena V: l’infermo, amorevolmente assistito dalla badante Bonaiuti al capezzale del San Raffaele e poi di villa San Martino, inizia a molestare telefonicamente le massime autorità civili, militari e religiose, compresi il capo dello Stato, il Pontefice e don Pierino Gelmini, a sua volta imputato per molestie su una decina di ragazzini e scaricato persino dal Vaticano. In quella sede, la più indicata, il nonnetto incerottato inizia a parlare come Cicciolina e lancia il Partito dell’Amore.

Scena VI: anziché chiamargli un’ambulanza, la stampa al seguito e il Pd lo prendono sul serio e lo scambiano per un padre costituente. Nasce la Grande Riforma.

The end.

via | Il panettone delle libertà (di M. Travaglio)

Milena Gabanelli: «Io, pendolare e i ritardi del Frecciarossa»

La denuncia del Corriere («Se i pendolari che protestano hanno ragione») ha messo in evidenza il disagio di migliaia di viaggiatori alle prese con ritardi e disservizi dovuti ai nuovi orari dei treni e alla soppressione di alcune fermate intermedie. Molte le proteste, come abbiamo documentato, anche per i ritardi dei treni ad Alta velocità e sulle nuove regole dei rimborsi. E centinaia le mail dei lettori. Questo è il diario di viaggio di Milena Gabanelli (foto), conduttrice di Report, pendolare sulla navetta Bologna-Roma.

FRECCIA_b1[1] Mercoledì 16 dicembre: parto da Bolo­gna alle 8.47, arrivo previsto a Roma, 10.55. Tempo bello, cielo terso. L’impiega­to del Club Eurostar mi consegna il bigliet­to con una punta di orgoglio: «Ce l’abbia­mo fatta, adesso si va a Roma in due ore!». Per una pendolare fissa come me è una bella notizia. Il treno arriva con 10 minuti di ritardo, a Firenze ne ha già accumulati altri 20. Mi sie­do nel salottino vuoto perché devo fare mol­te telefonate e non voglio disturbare. Quan­do passa il controllore allungo i 10 euro di supplemento. «Da una settimana sono 20 euro» mi dice. Anche se me li rimborsa la Rai, 20 euro per un treno in ritardo non glie­li do; mi alzo e torno a sedermi al mio posto sulla carrozza 3. Arrivo a Termini con 35 minuti di ritar­do. Mi infilo al Club Eurostar per chiedere il rimborso. Una signora guarda il biglietto e dice: «Ripassi fra 20 giorni, perché deve essere lavorato». Lavorato? «Si», dice «adesso c’è tutta un’altra procedura». Imbufalita vado a prendere il taxi.
Due giorni dopo sono di nuovo lì, in anticipo sulla partenza e con il tempo a disposizione per capire meglio questa storia del rimborso. Tre persone in fila e un solo sportello aperto. Dal nulla compare una mastina che sbarra la strada a quei pochi passeggeri che varcano la porta automatica del club, e gli chiede di esibire la tessera associativa. A lei domando informazioni sul bonus, ma non sa nulla, è lì solo per impedire l’ingresso agli abusivi. Quando è il mio turno l’impiegata mi dice che, dal 13 dicembre, con 35 minuti di ritardo non si ha più diritto al 50% di rimborso, «sta scritto nel regolamento europeo al quale abbiamo dovuto adeguarci» e mi allunga un malloppo di 40 pagine. Lo sfoglio, trovo il riferimento al rimbor­so in caso di ritardi, ma non ci sono indica­zioni specifiche. Mi indigno, arriva un’altra impiegata, guarda anche lei, e poi scompa­re dentro un ufficio a consultare internet. Alla fine il mio treno parte e ne so come pri­ma. Le carrozze sono piene, ma i salottini viaggiano vuoti. Chiacchiero con il capotreno che mi dice «è stato fatto un gran can can per andare sui giornali e in televisione a dire che si accor­ciano i tempi, ma la Firenze Bologna non si riesce a fare in mezz’ora, in pratica ci vuole ancora lo stesso tempo di prima e il rimbor­so del 50% del biglietto te lo danno solo con 2 ore di ritardo». E in effetti quando scendo a Bologna il tempo di percorrenza è sempre di 2 ore e 40. Il capotreno mi saluta e sussur­ra «i 37 chilometri di tunnel, sa, sono un problema». Quel tunnel lo percorrerò tutte le settimane, penso, mentre vado verso casa con in mano un gianduiotto gentilmente of­ferto dal personale di bordo, è in carta argen­tata con scritto «frecciarossa».
Epilogo: le ferrovie spagnole rimborsa­no il 50% del biglietto AV per ritardi supe­riori ai 15 minuti e il 100% sopra i 30 minu­ti. Francia e Germania il 25% dai 60 ai 119 minuti, il 50% se si superano le due ore. Quindi Trenitalia si è adeguata alle condi­zioni dei due paesi europei noti per la pun­tualità dei loro treni. Poco puntuale è inve­ce anche il sito di Trenitalia dove nell’area clienti, all’indice «bonus previsti» trovi scritto: «Se il treno AV, AV Fast, ES su cui si viaggia porta più di 25 minuti di ritardo hai diritto al 50% del prezzo pagato». Buon Natale, ingegner Moretti.

Milena Gabanelli
20 dicembre 2009

Pasta troppo cara

La rivolta contro il caro pasta continua. I dati parlano da soli.

Nell’ottobre 2006 un chilo di frumento duro (la materia prima) costava 0,15 euro, un chilo di semola (il semila vorato) costava 0,27 euro, un chilo di pasta era venduta a 1,18 euro al consumatore. A fine novembre di quest’anno all’origine il prezzo era salito a 0,18 euro (+4,2%), quello al l’ingrosso a 0,31 euro (+7,1%), quello al consumo a 1,65 euro (+39,7%).

Ma anche la dinamica dei tre andamenti, come mostra l’elaborazione del Garante sui Prezzi su dati Istat ed Ismea, è significativa. A un certo punto, tra marzo e maggio 2008, dopo un periodo di impennata, i prezzi del la materia prima e quelli al­l’ingrosso cominciano a scendere, i prezzi al dettaglio invece continuano a salire e poi si stabilizzano. «In genere se i prezzi all’ingrosso scendono per un periodo di tempo congruo, in un mercato concorrenziale qualcuno si differenzia e al dettaglio diminuisce i prezzi. Invece con la pasta non accade: gli attori si muovono tutti insieme, nonostante la frammentazione del mercato. Vuol dire che c’è qualcosa che non va», afferma Mr Prezzi, Roberto Sambuco.

Nell’ultimo anno è successo qualcosa di ancora più evidente.

I dati dicono che a novembre il prezzo della pasta sugli scaffali dei negozi è diminuito del 4,7% sull’ottobre 2008, ma nel frattempo la materia prima è crollata del 30,5% e la semola del 26,6%. Come dire: la fiammata dei prezzi dei cereali si è spenta, ma i prezzi della pasta non sono diminuiti o non sono diminuiti abbastanza. E questo dopo la prima indagine del Garante dei prezzi, seguita da una serie di tavoli con i produttori, dopo l’indagine del l’Antitrust, culminata con una multa per 12,5 milioni di euro a 24 pastifici e due associazione del settore, poi con fermata a fine ottobre anche dal Tar, che ha respinto il ricorso dei pastifici. Ecco perché il Garante dei prezzi, dopo aver completato la nuova indagine sull’andamento dei prezzi degli ultimi 12 mesi, si prepara a una nuova offensiva contro i produttori di pasta. «A gennaio convocheremo di nuovo i pastai e tutte le parti interessate della filiera a un tavolo. Nel frattempo ci attiviamo, perché la dinamica sui prezzi è opaca e sicuramente non virtuosa. Sembra prefigurarsi un comportamento dannoso nei confronti dei consumatori». In pratica? «Speriamo che si ripeta quanto accaduto con gli Sms. Il prezzo massimo era fuori misura, perciò abbiamo chiesto agli operatori di intervenire, altrimenti lo avremmo fatto noi. E alla fine si sono adeguati».

Là c’era una direttiva Ue da rispettare, qui no. Però Mr Prezzi sembra pronto a intervenire comunque. Anche a costo di ricorrere all’uso della Guardia di Finanza, dopo l’intervento nei giorni scorsi con incursioni nelle maggiori aziende, su incarico della Procura della Repubblica, che ipotizza il reato di manovre speculative. E intenzionato, se i pastai non cederanno, perfino a presentare una riforma del mercato, come ha già fatto con i carburanti, riforma adesso allo studio del governo.

via | corriere.it

Allarme cellulari

Tumori rari. Piccoli numeri, dunque. Ma il collegamento tra l’insorgenza di tumori cerebrali e uso dei cellulari c’è. A lanciare l’allarme sono decine di ricercatori, medici, esperti di salute pubblica, fisici di 12 Stati europei e nordamericani, tutti indipendenti e tutti convinti nel firmare il documento ‘Cellulari e tumori cerebrali: 15 motivi per essere preoccupati’ (www.radiationresearch.org/). Che anticipa le conclusioni del grande studio Interphone, condotto in 13 Paesi, Italia compresa, sul quale sono stati investiti 30 milioni di euro e che dovrebbe essere reso noto entro dicembre.

Il panel passa in rassegna tutti gli studi fatti sull’argomento negli ultimi anni, fa la tara a quelli ottimisti sponsorizzati dalle aziende e a quelli pessimisti. Calibra e rilegge tutti i dati, che sono una marea. E conclude che l’aumento del numero di casi di cancro cerebrale collegato all’utilizzo estensivo del cellulare, per quanto piccolo, c’è e si può misurare: per ogni cento ore di uso del telefono il rischio di neoplasie del cervello crescerebbe del 5 per cento. Quando l’uso è estensivo gli scienziati calcolano che l’incidenza del tumore potrebbe crescere per ogni anno dell’8 per cento; per ogni decennio del 280 per cento; e se l’impiego è iniziato nell’adolescenza sale addirittura del 420 per cento. E questo accade perché i campi magnetici agiscono sul Dna. Inoltre indebolirebbero la barriera esistente tra cervello e circolo sanguigno, e danneggerebbero la fertilità maschile.
L’8 per cento l’anno sarebbe un’enormità se lo applicassimo ai big killer (tumori del seno, del colon, del polmone che colpiscono decine di migliaia di persone). Faccenda diversa se si parla di cancri rari: in Italia, nel loro insieme, i tumori cerebrali colpiscono 10 italiani su 100 mila all’anno (circa 15 mila persone, per lo più sotto i trent’anni). Le forme più collegate ai cellulari sono il glioma, che rappresenta quasi la metà dei casi, circa 7 mila nuovi malati l’anno; il meningioma, il 15 per cento, circa 2 mila nuovi malati l’anno; e il tumore del nervo acustico l’8 per cento del totale. Va detto, però, che tra il 1986 e il 2005 si è avuto un aumento dei casi dello 0,5 per 100 mila abitanti tra gli uomini e dello 0,9 per cento tra le donne.
Queste le opinioni del super panel indipendente alle quali il grande e costoso Interphone non potrà aggiungere granché. Anche perché, nell’attesa, sono fioccate critiche e maldicenze. A partire dalla constatazione che Interphone, pur essendo sponsorizzato dall’Oms, è in gran parte finanziato da industrie. E che nessuno capisce perché dallo studio siano stati esclusi i bambini, considerati da tutte le autorità sanitarie del mondo i soggetti più vulnerabili.

Telefonini: dieci regole salva salute

Ecco le proposte degli scienziati per minimizzare i rischi

Quando si telefona meglio evitare di accostare alla testa un telefono del tutto senza fili (tipo bluetooth); si deve quindi preferire, ogni volta che si può, un telefono con base fissa e collegata a un filo, oppure il viva voce.

Il cellulare va tenuto il più possibile lontano dal corpo e quindi non in tasca; se non se ne può fare a meno, meglio acquistare una custodia schermante (ve ne sono diverse in commercio)

Limitare al massimo l’uso sui mezzi di trasporto, in aree rurali o comunque lontane dalle antenne: la ricerca del segnale richiede una dose maggiore di radiazioni.

Cercare di lasciare spento il cellulare fino a quando non si ha necessità di comunicare.

 

Preferire il telefono fisso al cellulare.

 

Evitare di usare il cellulare dentro agli edifici, soprattutto se costruiti con molto acciaio.

 

L’uso del cellulare prima dei 18 anni è sconsigliato. La Francia ha annunciato una legge che lo vieta al di sotto dei 12; il Canada ha dichiarato che i bambini al di sotto degli otto anni devono usarlo solo in caso di emergenza e che i teenagers devono parlare al massimo dieci minuti per volta e Israele ha fatto campagne simili. La Finlandia ha emanato precauzioni severe per i bambini: incoraggiare l’uso degli sms, controllare la durata delle conversazioni, limitare l?uso dei dispositivi wireless.

Non permettere al proprio figlio di dormire con il cellulare sotto il cuscino o comunque vicino al letto.

Richiedere prove scientifiche sulla sicurezza dei nuovi dispositivi wireless prima di concedere l’introduzione in commercio e obbligare i produttori a porre indicazioni chiare sulle confezioni.

Applicare il principio di precauzione per ridurre il rischio personale e, soprattutto, proteggere bambini e adolescenti.

via | Allarme cellulari

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